Cultura

Stroppa: «Alla Scala è come varcare la soglia di un tempio»

Intervista alla bresciana che oggi canterà alla Scala nell’«Andrea Chénier» per l'inaugurazione della stagione
Mezzosprano. La bresciana Annalisa Stroppa, pronta ad impersonare Bersi, la serva mulatta // PH. SILVIA LELLI
Mezzosprano. La bresciana Annalisa Stroppa, pronta ad impersonare Bersi, la serva mulatta // PH. SILVIA LELLI
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Gentile, paziente, risoluta. Caparbiamente candida. Biancaneve, Alice e Lady Oscar. Dissimula l’energia dietro a dolcezza, grazia, solarità. Il mezzosoprano Annalisa Stroppa porge, incanta, si ritrae.

Anche quest’anno è chiamata a far parte del cast dell’opera che stasera inaugura la stagione del Teatro alla Scala di Milano: l’«Andrea Chénier» di Umberto Giordano. Molteplici le possibilità di fruizione anche per quanti non assisteranno «dal vivo», a cominciare dalla diretta su Rai1 (a cura di Rai Cultura) alle 17.45, con la conduzione di Milly Carlucci e Antonio Di Bella. La direzione è affidata a Riccardo Chailly, la regia a Mario Martone (il quale, essendo l’opera ambientata durante la Rivoluzione francese, porta sul palco la stessa ghigliottina usata nel film «Noi credevamo» e nello spettacolo teatrale «La morte di Danton»).

Ad impersonare il personaggio del titolo, poeta transalpino, è Yusif Eyvazov (al debutto alla Scala); la diva Anna Netrebko, moglie del tenore azero, è Maddalena di Coigny; il baritono Luca Salsi è Carlo Gérard. Annalisa Stroppa interpreta Bersi, la serva mulatta.

«Sono emozionata e impaziente - ci dice la cantante bresciana -. Entrare alla Scala è come varcare la soglia d’un tempio: avverto le presenze mitiche che vi hanno cantato, mi sento addosso un’enorme responsabilità e una gioia immensa. Un famoso maestro lo definiva "il portico maledetto": centro dell’universo melodrammatico; ho il compito di trasmettere quell’eredità ricevuta».

Persiste la vitalità di Giordano? Senza dubbio. Lo si è collocato nel Verismo, ampia categoria che accoglie al suo interno storie, caratteristiche, fortune e parabole di compositori assai diversi fra loro. Giordano è capace di mutare scrittura e stile, sa impastare realismo e arcaismi, suggestioni decadenti, azzardi, velleità irrisolte. Andrea Chénier manca alla Scala da oltre trent’anni. Il maestro Chailly lo incise già nell’82, con Luciano Pavarotti nel ruolo principale. Predilezioni e consensi sorgono, si spengono, si tramutano, rinascono, ma le opere di Giordano non sono mai scomparse dai cartelloni.

Com’è la sua parte? Deliziosa. Bersi canta una bellissima arietta, «Temer? Perché?», è spesso in scena e accompagna l’evolversi del dramma: nel primo Quadro la Bastiglia non è ancora caduta, lo sfarzo è ostentato, opprimente; nel secondo, il vento della Rivoluzione ha trasformato la capitale francese, i nobili sono decaduti e l’anima del singolo esce allo scoperto. Lusso e miseria s’intrecciano con affetti, libertà, cattiveria, bontà, con le verità che fanno vivere. Le parole teatrali sono oracoli che i personaggi interpretano e restituiscono al pubblico con sincerità.

È intimorita a condividere il palco con la Netrebko? È una cantante e una persona straordinaria. Fra di noi si è creata un’intesa magica. In ogni recita imparo qualcosa, a maggior ragione al fianco di una regina come lei. Mi affascina anche Chailly: possiede intelligenza musicale, istinto teatrale, arte maieutica; conosce voci, caratteri, potenzialità; lavora, scava, esige il massimo. Cosa ha inventato il regista Mario Martone? È un’immersione totalizzante e veritiera nella Parigi di fine Settecento. Ha voluto unire gli atti per favorire la continuità narrativa, perciò ha chiesto di non applaudire. Il turbine vorticoso della storia cozza contro i sentimenti dei personaggi. Magnifiche le magnifiche scene di Margherita Palli e i costumi di Ursula Patzak: il cambio d’abito sottolinea le metamorfosi spirituali. La diretta di Rai1 raggiungerà il mondo intero. Per condividere un sogno, un patrimonio inestimabile.

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