Cultura

Stragi di via Capaci e via d'Amelio: «C’è ancora molta polvere» sulla verità

Parole e considerazioni di Andrea Purgatori, ospite domenica 13 novembre della rassegna MicroEditoria
  • Andrea Purgatori alla MicroEditoria di Chiari
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Trent’anni dopo «c’è ancora molta polvere» che nasconde la completa verità sulle stragi di Capaci e via D’Amelio, in cui morirono Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e le loro scorte. Qualcosa in più potrebbe uscire dalle inchieste ancora aperte su vicende in cui si «intrecciano mafia e pezzi delle istituzioni».

L’agenda rossa di Borsellino sparita subito dopo la strage, la casa di Totò Riina perquisita solo diciotto giorni dopo l’arresto del boss: due «fatti strani», che hanno privato le indagini «di carte importanti. È la storia dell’Italia, spariscono documenti in grado di fare luce. Qualcuno li tiene in tasca per usarl a suo vantaggio». Parole e considerazioni di Andrea Purgatori, ospite domenica 13 novembre della MicroEditoria, nella giornata conclusiva della rassegna. Tendone pieno per ascoltare il giornalista, scrittore, saggista, sceneggiatore, attore, che su La7 firma la trasmissione «Atlantide». Da cronista segue da trent’anni le vicende di mafia.

Da sinistra: il moderatore Baroni e Gambarini, Giustacchini e Visentini - Foto New Reporter Foglia © www.giornaledibrescia.it
Da sinistra: il moderatore Baroni e Gambarini, Giustacchini e Visentini - Foto New Reporter Foglia © www.giornaledibrescia.it

Il 23 maggio e il 19 luglio 1992 volò a Palermo per raccontare ai lettori del Corriere della Sera il massacro di Falcone e di Borsellino. «Intervistai Borsellino poco dopo Capaci, era provato per la morte dell’amico, ma determinato ad andare avanti nel suo lavoro», ha ricordato Purgatori, sottolineando una delle incongruenze che caratterizzarono le indagini: «Nei 56 giorni successivi alla morte di Falcone, Borsellino non fu mai sentito dalla Procura di Caltanissetta. Eppure era la persona più legata al giudice assassinato». Sono tanti i misteri irrisolti.

Misteri

  • Il pubblico alla fiera della MicroEditoria di Chiari
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«Cosa nostra non può avere agito da sola nelle due stragi». Troppo sofisticate, troppo clamorose. Borsellino, ha sottolineato Purgatori, «fu ucciso per decisione di Riina, contro il parere degli altri boss. Riina disse che bisognava agire e farlo subito. Evidentemente c’era qualcosa che rischiava di emergere». Secondo Purgatori pezzi di Stato hanno trattato con la mafia in quel 1992: «Gesti di buona volontà verso i mafiosi incarcerati in cambio di una sorta di tregua».

Sospetti di connivenze e/o convenienze sotterranee, secondo il giornalista, che vengono alimentati anche dalla trentennale latitanza di Matteo Messina Denaro. «Strano non sia ancora stato arrestato, con i sofisticati mezzi di indagine odierni. Secondo i magistrati perché ha in mano qualcosa con cui può ricattare lo Stato».

Pentiti

Per le sue inchieste giornalistiche, Purgatori ha incontrato diversi pentiti. Da ascoltare con riserva: «Anche il mafioso più collaborativo si tiene qualcosa in tasca, per tutelarsi oppure per usarlo dopo. Una sorta di assicurazione». Le stragi di Capaci e via D’Amelio, la mancata perquisizione di casa Riina, gli attentati di Firenze e Milano del 1993: c’è ancora molto da «indagare su questi fatti che sono connessi. Il compito di noi giornalisti è continuare a tenere il filo del racconto anche trent’anni dopo. Un lavoro di ricostruzione per sapere chi siamo e dove stiamo andando».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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