Strage di Erba, l’intervista a Paolo Moretti su «Sangue e fango»
Sangue, come quello versato da Rosa Bazzi e Olindo Romano ad Erba l’11 dicembre di diciotto anni fa. Fango, come quello sparato addosso a Pietro Castagna, figlio, fratello e zio di tre delle quattro vittime di quella strage, nel tentativo di alimentare l’ipotesi innocentista, di riaprire il caso dei casi e, con questo, moltiplicare audience, share e fatturato.
«Sangue e fango» proprio come il titolo del libro che
Paolo More tti – cronista della Provincia di Como che ad Erba quella sera arrivò poco dopo i carabinieri e che del caso si occupa da allora – ha dato alle stampe per Dominioni Editore e che venerdì 20 settembre, a partire dalle 18.30, presenterà alla libreria Serra Tarantola di via Porcellaga, dialogando con il procuratore generale di Brescia Guido Rispoli e rispondendo alle domande di Giorgio Bardaglio, vicedirettore del Giornale di Brescia.Di Rosa Bazzi e Olindo Romano, nei mesi scorsi, si è occupata anche la giustizia bresciana. Dopo aver ascoltato le ragioni dei difensori dei due coniugi condannati all’ergastolo con sentenza definitiva, quelle dei magistrati della procura generale, la Corte d’appello ha respinto la loro richiesta di revisione del processo.
Moretti possiamo dire di essere arrivati al capolinea?
«Sarebbe bello fosse così. Mi piacerebbe non dovermene occupare più. Il mio giornale aveva deciso, una volta divenuta definitiva la condanna, di non seguire più la vicenda. Siamo stati tirati per i capelli, abbiamo sentito il dovere di scriverne ancora per verificare, atti processuali alla mano, la teoria innocentista. Ora ci siamo dentro di nuovo e ci staremo sino al più che probabile ricorso per Cassazione, che arriverà puntuale dopo la pubblicazione delle motivazioni della Corte d’appello di Brescia».
Ad attendere il sipario più di tutti è il protagonista del suo libro, Pietro Castagna. Gli innocentisti hanno puntato il dito contro di lui, ipotizzando che abbia ucciso madre, sorella e nipotino per questioni di eredità. Quando e perché ha scelto di dargli voce?
«Nel corso della realizzazione di un podcast sulla strage di Erba con la collega Martina Toppi andammo a casa di Pietro e Beppe Castagna. Quell’intervista si trasformò in una chiacchierata a cuore aperto, spesso interrotta dalla commozione di Pietro. Da vittima era stato trasformato, anche per logiche di comunicazione e mercato, in presunto responsabile. Difenderlo, anche sui social, per qualche tempo è stato impossibile. Era giusto dargli voce».
La strage di Erba, è brutto dirlo, continua ad appassionare. A Brescia, in occasione della revisione, abbiamo assistito a inesauribili code all’alba e sotto la pioggia per entrare in Tribunale. Perché ha tanto successo?
«La storia ha tutti gli ingredienti giusti. Rosa Bazzi e Olindo Romano sono personaggi perfetti: hanno nomi orecchiabili, a fronte dei ricchi Castagna erano persone di umile estrazione. Erano le perfette vittime di una fantomatica giustizia canaglia che colpisce le persone più umili per proteggere quelle più potenti».
Che peso ha avuto nel successo di questa vicenda lo show business?
«Ho avuto modo di verificare dati Auditel e avuto conferma che audience e share, quando si parla di Rosa Bazzi e Olindo Romano, subiscono sensibili impennate. Il pubblico apprezza. La campagna innocentista ha interessato una buona fetta di pubblico ed il mercato non se l’è fatta scappare. Un conto è fare informazione basata sui fatti, un conto è fare intrattenimento con illazioni destituite di fondamento, ma in grado di alimentare gialli e complotti al solo fine di tenere in vita un caso chiuso, come la strage di Erba».
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