Cultura

Storia di una donna e di una fotografia diventata un'icona

In «Non sarò mai la brava moglie di nessuno» Nadia Busato racconta la vita di Evelyn McHale, buttatasi dall'Empire State Building nel 1947
La foto di Evelyn McHale apparsa su Life Magazine
La foto di Evelyn McHale apparsa su Life Magazine
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Un dramma. Una foto che diventa un’icona. La storia di Evelyn pare esaurirsi in quell’immagine, quasi placida e irreale, che la ritrae dopo il suo ultimo gesto, la mattina del primo maggio 1947. Evelyn, dopo aver salutato il fidanzato con il quale avrebbe dovuto sposarsi dopo poche settimane, sale fino alla terrazza dell’Empire State Building a New York e, senza che nulla preannunci la sua decisione, si lancia nel vuoto.

Il corpo va a schiantarsi su una limousine ai piedi del grattacielo: sembra quello d’una bella addormentata, i guanti di capretto stretti in mano, le dita a toccare la collana di perle, le gambe accavallate, il trucco composto, le labbra rosse. Quell’immagine, fortuitamente catturata da un giovane reporter, diventa una delle più celebri e potenti pubblicate da Life Magazine. I servizi fotografici del periodico, dopo quella copertina, cambiano, le immagini diventano poetiche e drammatiche, cariche di pathos.

 

Un particolare di Fallen body, di Andy Warhol
Un particolare di Fallen body, di Andy Warhol

 

Quello che venne ribattezzato «effetto Evelyn» contagiò la moda in una pandemia di bellezza languida e morente. Anche molti artisti la ritrassero e la cantarono, a partire da Andy Wharol il cui «Fallen body», dalla serie «Death and Disaster», divenne, appunto, un’icona. A Evelyn McHale, la bresciana Nadia Busato, dopo anni di ricerche, dedica il libro - in uscita il 22 marzo - «Non sarò mai la brava moglie di nessuno» (Sem, 16 euro), un titolo che rievoca le poche parole d’addio lasciate al fidanzato.

«Sono incappata in questa fotografia per caso - racconta Nadia - ed è stato un incontro che ha avuto su di me un impatto fortissimo. Per mesi mi sono trovata a ronzare attorno a questa storia, senza volerlo. Quella di Evelyn non era una vita, era solo un’immagine e ho sentito il bisogno di darle un contorno».

 

La copertina del libro di Nadia Busato
La copertina del libro di Nadia Busato

 

La storia si compone come una sorta di puzzle attraverso voci diverse. Dapprima quella della madre, Helen Constance McHale, cui Evelyn fa riferimento nella lettera d’addio alla famiglia. Una donna dell’ombra, madre di sette figli, che cerca un equilibrio dopo ogni trasloco nato per rispondere alle necessità di carriera di Vincent, il marito per il quale tutto doveva essere ineccepibile per la sua vita sociale. Una famiglia apparentemente perfetta, dunque, ma solo nella facciata. Dentro cova un buco nero. La madre abbandona la famiglia quando l’ultimo figlio ha solo pochi anni. Forse è da tutto questo che scappa Evelyn quando decide di arruolarsi, mollando tuttavia la carriera militare con un gesto eclatante: dà fuoco alla divisa.

«Quello di bruciare, in un certo senso, una parte di sè attraverso gli abiti - racconta Nadia Busato - è un gesto che Evelyn ripeterà, dando fuoco al suo vestito da damigella al matrimonio del fratello minore del fidanzato».

 

Evelyn McHale da giovane
Evelyn McHale da giovane

 

Dalle pagine emerge così, pian piano, il ritratto di una giovane donna che non sembrava mai davvero felice. Determinata, sì. Convinta, caparbia, ostinata, piena di contraddizioni. Sempre con una sorta d’inquietudine e un’irrequietezza.

«La scelta definitiva, quella dell’amore - continua l’autrice bresciana -, neppure questa era la felicità che voleva. Non desiderava che qualcuno le dicesse come doveva essere felice. Forse temeva di rimanere incastrata in un ruolo, com’era accaduto alla madre».

 

Nadia Busato (Foto di Manuel Colombo)
Nadia Busato (Foto di Manuel Colombo)

 

Il tema della rappresentanza delle donne, la questione delle pari opportunità scorre in tutto il libro... Una riflessione. «Le donne erano arrivate al voto solo da una manciata d’anni - ricorda Nadia Busato -, un cambio formale che non corrispondeva a un vero cambio culturale. Una scelta così totale come quella di Evelyn solleva in noi molte domande, ci porta a una riflessione sulla solitudine, al suo dedalo di pensieri e al bisogno di senso che arriva dal profondo. Ci porta a una riflessione sulla consapevolezza che noi siamo anche qualcosa che è nascosto allo sguardo degli altri. Misterioso. Sacro. Da proteggere. L’oscurità che è dentro di noi, in fondo, sono le nostre grandi domande».

 

 

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