Storaro, il Maestro a Sirmione tra Woody Allen e Maometto
Vittorio Storaro è arrivato ieri a Sirmione, in anticipo per l’inaugurazione di «Scrivere con la luce. Doppie Impressioni tra fotografia e cinematografia» prevista per domani a Palazzo Callas Exhibitions. La mostra ad ingresso libero è organizzata dal Comune con il Consorzio Albergatori e Ristoratori e l’Associazione Commercianti e resterà visitabile fino al 4 ottobre (tutti i giorni escluso il lunedì, orario 10.30-12.30 e 16.30-19, mentre nelle giornate di venerdì e sabato la chiusura è posticipata alle 22). È un percorso alla scoperta di oltre cento opere molto particolari, frutto di una ricerca che sintetizza l’intera carriera di Storaro. Si tratta di fotografie «in doppia impressione», un tipo di sovrimpressione realizzato direttamente durante la fase di scatto. «L’immagine racconta così il trascorrere di un arco temporale: sono stato educato dal cinema ad esprimermi attraverso il tempo» svela il Maestro.
È una vita in continuo movimento quella del direttore della fotografia di fama internazionale, che è già pronto a ripartire: destinazione New York, dove Woody Allen lo attende sul set del suo nuovo film, per lavorare per la prima volta interamente in digitale. Il titolo provvisorio è «WASP», acronimo di Woody Allen Special Project, termine nel quale pare già di scorgere l’ironia tipica del regista (letteralmente significa «vespa», ma gli statunitensi con la stessa formula indicano i cittadini discendenti dai primi coloni inglesi).
Maestro Storaro, che genere di storia racconterà il film?
Sarà ambientato nel 1935 e rispecchierà perfettamente lo spirito tipico delle migliori opere di Woody Allen, mettendo in scena le vicende di una famiglia ebraica.
Presenta particolari sfide dal punto di vista della fotografia?
Ho deciso di aprire un nuovo capitolo della mia vita professionale dedicato alle tecnologie digitali, che avevo solo in parte sperimentato nella realizzazione del documentario «Flamenco Flamenco» di Carlos Saura. Bisogna sempre essere pronti ad acquisire nuove conoscenze, e per prepararmi a questa nuova prova sono stato recentemente negli Stati Uniti per dei sopralluoghi a New York e a Los Angeles, le due città che saranno teatro delle riprese del progetto con Allen.
La aspetta dunque un’estate ricca di impegni, tra i quali l’apertura del Montreal Film Festival, in Canada...
Sì, durante la première del 27 agosto verrà proiettato l’atteso film «Muhammad», dedicato all’infanzia di Maometto, dal regista iraniano Majid Majidi, del quale ho diretto la fotografia. (In Iran non era mai stata realizzata prima una produzione cinematografica così imponente, con un budget di 50 milioni di dollari ed una lavorazione durata cinque anni, ndr.). Fa parte del mio percorso di ricerca sui profeti, iniziato con «L’ultimo Imperatore» di Bernardo Bertolucci.
Questo suo costante desiderio di approfondimento le è valso tre premi Oscar e una carriera costellata di collaborazioni con autori di prestigio. Come funziona di solito il processo di scambio creativo con i registi?
Il lavoro di una troupe cinematografica è come quello dei musicisti di un’orchestra. Il regista firma l’opera ed è l’unico vero "direttore", ma chi si occupa della fotografia è co-autore visivo delle immagini. In Italia di solito si pensa che sia solo il regista a scegliere le inquadrature, mentre non è per forza così: io ad esempio, esclusi i film fatti con Bertolucci e Saura, sono sempre stato coinvolto nello studio delle soluzioni di ripresa. Presento delle proposte, che poi vengono accettate o ridiscusse.
Che consiglio si sente di dare ai giovani che studiano con interesse la sua filmografia (appassionandosi sia ai cult che vengono analizzati nelle scuole di cinema come «Apocalypse Now», «Novecento» e «Ultimo Tango a Parigi», che a numerosi altri titoli) e sognano di intraprendere una carriera nel mondo della settima arte?
Il nostro modo di esprimerci è il risultato di tutte le immagini che ci hanno preceduto, educandoci a determinate regole di composizione. Bisogna mantenere la curiosità caratteristica dello studente e, restando consapevoli che non si impara mai tutto, continuare a cercare.
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