Stefano Massini al Sociale: «I giovani pensano che si possa manifestare solo online»
Dopo che sul palco del concerto del Primo Maggio si è definito «anti-sfascista», vari giornali lo hanno attaccato: il drammaturgo, attore e autore televisivo Stefano Massini dovrebbe secondo loro spiegare cosa c’entri l’antifascismo con il lavoro. L’ha chiarito al Teatro Sociale, durante una micro-conferenza al limite del suo classico teatro di narrazione, inserita nella mattinata di contributi «Il lavoro sconfigge l’odio - 50 anni di Piazza Loggia: la memoria, la città, l’Europa». Organizzato dal Sindacato Pensionati Italiani Cgil nazionale, di Brescia e della Lombardia, con il patrocinio del Comune di Brescia, l’evento è inserito nel calendario delle celebrazioni del cinquantesimo anniversario della strage coordinato da Casa della Memoria. Oltre a Massini numerose persone hanno preso la parola, da Manlio Milani, presidente della Casa della Memoria, al deputato Gianni Cuperlo, ribadendo la volontà di trovare verità e giustizia e quella di non dimenticare mai.
La storia di Roberto
Massini ha parlato di un operaio, Roberto, figlio di una sua zia. Roberto nel 1974 voleva a tutti i costi andare alla manifestazione in Piazza Loggia, ma soffriva di fibromialgia, con dolori fortissimi che lo debilitavano. «Già per strada, fu costretto a tornare a casa. Al telefono con la madre raccontò di non essere riuscito ad andare e di essere arrabbiato. Da bambino quando me lo raccontavano non capivo come mai Roberto si lamentasse: voleva esserci, proprio perché è successo quello che è successo. C’era sangue, c’erano morti, eppure…».
L’ha capito solo da grande, comprendendo che Piazza Loggia non è una piazza qualunque: è la piazza di chi aveva scelto di esserci in un momento di paura per dichiarare qualcosa solo con la propria presenza. «Paura viene da un antico verbo che significa colpire fisicamente. Dire di avere paura significa aver ricevuto un pugno. Lo sentiamo addosso. Il maggio del 1974 era un momento di paura e va ricordato: scendere in piazza incuteva terrore. L’atmosfera era tesa. Scendere in piazza era prendere una posizione. Roberto voleva esserci in quella piazza in cui c’era la bellezza. La bomba era nel cestino dell’immondizia perché era l’unica parte sporca della piazza».
La partecipazione
La strage di Piazza Loggia, dice, lascia qualcosa: l’importanza della manifestazione, che non è clic sotto un post o una ricondivisione social. «I giovani pensano che si possa manifestare solo online. Al massimo con una firma digitale su una petizione che non richiede più nemmeno di recarsi a un gazebo. Ma manifestare è esserci. In piazza ci si andava rischiando. Quella era la piazza di chi manifestava e di chi si prendeva le proprie responsabilità, anche solo essendoci. Era la piazza dei lavoratori». In sostanza? «Dobbiamo re-innamorarci del lavoro».
Quando gli chiedono se il fascismo stia tornando, Massini risponde di no. «Perché non se n’è mai andato. Nel 1965 al Parco dei Principi di Roma si tenne un congresso per preparare la reazione armata delle forze di destra a una eventuale vittoria del partito comunista alle elezioni. A quel convegno, con i soldi dello Stato, partecipò Carlo Maria Maggi, mandante della bomba di Piazza Loggia». E questo, per Massini, è solo un esempio dei tanti che punteggiano il Novecento e i giorni nostri.
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