Cultura

Silvia Mercuriali: «Nel mio autoteatro il pubblico gioca a ping pong»

Giulia Camilla Bassi
Attraverso una partita performativa di tennis-tavolo l’artista fa riflettere il pubblico sul tema del contrasto: l’opera «Love Pong» andrà in scena sabato 9 novembre a Elnòs e poi a Mo.Ca.
Un dettaglio della locandina di Love Pong
Un dettaglio della locandina di Love Pong
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Una partita a ping pong molto particolare, ospitata al centro commerciale Elnòs di Roncadelle. E i protagonisti saranno proprio i clienti e i visitatori. Succederà sabato 9 novembre con l’opera «Love Pong» dell’artista Silvia Mercuriali, che sarà presentata come anteprima del Wonderland Festival di Teatro Idra, la rassegna che dal 12 al 30 novembre animerà gli spazi del Mo.Ca ed altri luoghi del centro di Brescia.

Abbiamo incontrato Silvia Mercuriali per una chiacchierata sul suo teatro che mette lo spettatore al centro.

Che valore ha la scelta di uno spazio così particolare?

Il mio lavoro si svolge spesso in luoghi pubblici, con l’idea di recuperare gli spazi per un utilizzo artistico e poetico e non commerciale, trasformandoli attraverso il suono per riscoprirli.

Nel caso di «Love Pong», più che per riscoprire il centro commerciale come un possibile luogo poetico, l’idea è quella di trasformarlo in un teatro, cercando per venti minuti di trovarci altrove. Per me questo è un concetto importantissimo: tutti gli spazi sono potenzialmente spazi teatrali, bisogna solo avere la voglia di immaginare.

«Love Pong» si definisce un gioco/spettacolo. Cosa significa e cosa vedremo in scena?

Lo spettacolo utilizza una strategia di messa in scena teatrale che si chiama autoteatro. L’autoteatro dà la possibilità allo spettatore di diventare attore lui stesso, attraverso una serie di istruzioni audio preregistrate molto precise.

In questo caso abbiamo tre tracce audio diverse, due spettatori attivi e un pubblico più ampio che inizialmente – o almeno superficialmente – sembra avere il solito ruolo di spettatore. I due giocatori attivi seguono due tracce sincronizzate tra di loro (insieme alla terza) che accompagnano la partita di ping pong. Quindi quello che troveremo durante lo spettacolo sarà un tavolo da gioco nel mezzo del centro commerciale e due giocatori attivi (che cambieranno sempre) impegnati a giocare una partita che esiste soltanto nelle orecchie di chi assiste, perché non c’è una vera pallina, la pallina è solo sonora. È uno spettacolo molto partecipato che rende ogni spettatore parte della rappresentazione stessa. Mi interessa molto l’idea di far partecipare lo spettatore attivamente attraverso delle azioni ben precise. In questo caso il tema è quello del contrasto, di come approcciamo i dibattiti e i momenti di conflitto. Voglio mettere lo spettatore all’interno di questo conflitto per lasciare che tragga le proprie conclusioni.

Cosa succede allo spettatore durante l’azione di autoteatro?

Attraverso l’autoteatro tu spettatore non sei più passivo, ma diventi parte di un’esperienza che vivi in prima persona. È come se venissi messo all’interno di un film, dove sia il luogo che le persone che lo abitano diventano comparse all’interno di una narrazione di cui sei il protagonista. È veramente un nuovo modo di proporre delle esperienze, dove la responsabilità non è data mai allo spettatore, ma la prendo sempre io a priori. Il pubblico, senza dover avere nessuna abilità performativa, può lasciarsi andare seguendo le istruzioni e sentendosi libero di agire anche delle azioni che normalmente non farebbe, perché la responsabilità non è più sua. Ma così facendo si può godere questo essere messo al centro dell’esperienza, sentendosi come un personaggio di un film, in cui tutto il mondo diventa parte di questa tua narrazione che esiste solo per te.

Lo spettacolo verrà replicato il 15 e il 16 novembre al Mo.Ca, come si adatterà a questo nuovo spazio?

Lo spettacolo è stato pensato per essere fatto ovunque. Per me questo è importantissimo. Non c’è bisogno di grandi strutture per creare il teatro, in questo caso c’è bisogno solo del tavolo da ping pong e delle cuffie. Il teatro c’è perché viene fatto dagli spettatori, che appena indossano le cuffie lo hanno già creato. Lo spettacolo si adatta facilissimamente a tutti gli spazi, è stato pensato per essere il più modulare e flessibile possibile.

Quali sono i suoi progetti e a cosa sta lavorando per il futuro?

Ci sono alcuni spettacoli che sono sempre disponibili: «Wondermart» (già presentato al Wonderland Festival nel 2021) si svolge all’interno dei supermercati. Comprando il biglietto viene inviata una traccia audio che è possibile seguire individualmente.

Anche «Swimming home» è uno spettacolo che può essere fruito nella propria vasca da bagno. Attualmente sto lavorando per uno spettacolo al Teatro Rossetti di Trieste, «La lingua virale», tratto dall’omonimo testo di Diego Marani. Utilizzerò sempre la strategia dell’autoteatro, ma in questo caso lavorerò con dieci attori. Saremo in teatro, quindi da un certo punto di vista sarà uno spettacolo un po’ più classico, ma che in realtà ha proprio lo scopo di togliere le certezze da sotto i piedi dello spettatore, chiamandolo a partecipare a una grande meditazione sulla bellezza del lasciarsi contaminare dalle altre culture. In un certo senso c’è un parallelo con «Love Pong», proprio per questa idea dell’apertura, dell’ascolto dell’altro e dell’accettazione delle culture e dei punti di vista diversi.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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