Cultura

«Sergio Ramelli. Una storia che fa ancora paura»: il libro presentato a Brescia

Paola Gregorio
Muovendosi tra atti processuali, articoli di giornale e testimonianze dirette si racconta una storia simbolo del recente passato del nostro Paese
Alla presentazione del libro su Sergio Ramelli - © www.giornaledibrescia.it
Alla presentazione del libro su Sergio Ramelli - © www.giornaledibrescia.it
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Il 13 marzo del 1975: un ragazzo di 18 anni, Sergio Ramelli, giovane militante del Fronte della Gioventù, viene aggredito sotto casa a Milano a colpi di chiave inglese. Muore dopo 47 giorni di agonia. Gli aggressori erano studenti universitari di Medicina di Avanguardia operaia.

Ci vollero dieci anni per assicurarli alla giustizia, con una sentenza che fece scalpore. Muovendosi tra atti processuali, articoli di giornale e testimonianze dirette il libro «Sergio Ramelli. Una storia che fa ancora paura», recentemente ripubblicato con la decima edizione, riveduta e corretta e con la prefazione del presidente del Senato, Ignazio Larussa, racconta una storia simbolo del recente passato del nostro Paese: un documento importante per capire il clima di un’epoca e perché gli Anni di Piombo hanno lasciato una scia che giunge fino ad oggi.

Lo ha presentato stasera a Brescia uno degli autori, il giornalista Guido Giraudo, con Diego Invernici, consigliere regionale di Fratelli d’Italia e Tino Corsini, che all’epoca frequentava l’università a Milano e ha portato la sua testimonianza di quegli anni: «Questa storia fa ancora paura perché ogni volta che si parla di Sergio Ramelli la sinistra ha una reazione quasi isterica – ha detto Giraudo  –. Tra il 1969 e il 1984 in Italia c’è stata una vera e propria guerra civile. La storia di Sergio non è l’unica drammatica degli anni Settanta: è uno dei centotrenta casi di aggressioni analoghe nel biennio 1973-1975 portati in tribunale. Un numero che probabilmente può essere raddoppiato. La sottovalutazione della violenza è l’origine della violenza. Non si poteva dire, in quegli anni, che c’erano ventimila persone armate pronte a fare la guerra civile». Giraudo ha proseguito: «Si creò una sorta di complicità con chi compiva violenza. E la consapevolezza dei colpevoli, di poter restare impuniti. Ci fu un clima di omertà che consentì agli assassini di Sergio Ramelli di non sentirsi tali. Anche oggi, c’è la sottovalutazione di un certo tipo di violenza. Il Questore di Milano ha detto che più del 50% dei reati sono commessi da extracomunitari».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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