Cultura

Sei libri consigliati dalla redazione per febbraio e l'ispirazione delle copertine

Vi capita mai di comprare un libro solo perché vi piace la copertina? Ecco, è una questione piuttosto comune
Una libreria con scaffali fitti di libri - Ria per Unsplash
Una libreria con scaffali fitti di libri - Ria per Unsplash
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«Non lasciatevi ingannare dalle apparenze» è un modo di dire abbastanza consolidato e abbastanza sistematicamente battuto dal potere suggestivo delle immagini. Questo vale anche quando si parla di libri, e soprattutto della loro primissima presentazione, cioè le copertine.

In questo appuntamento dei libri consigliati del mese (per febbraio ve ne proponiamo sei) non ne abbiamo ancora parlato, ma pensateci un attimo: quante volte vi capita di gironzolare tra gli scaffali di una libreria ed essere attratti da un volume perché la copertina vi sembra bella, vi ricorda qualcosa o vi colpisce un dettaglio? E in effetti succede che poi si compri un libro solo perché la copertina ci era piaciuta, e magari quel libro non lo leggeremo mai, ma comunque non è un male, perché adocchiare in giro per casa una bella copertina fa sempre sentire bene, o comunque non peggiora le cose. Poi certo, una bella copertina può comunque mascherare un cattivo contenuto del libro, ma può anche esserne un’appropriata esaltazione se la sostanza c'è.

Sta di fatto che le case editrici dedicano parecchio tempo alla ricerca della copertina adatta, perché può fare la differenza nella scelta di una persona di acquistare o no. Quelle dei romanzi sono le più ricercate e spesso propongono un quadro o un’illustrazione realizzata ad hoc. Chi scrive abitualmente in questa rubrica è abbastanza concorde sulla difficile battibilità dell’elegantissimo stile minimal di Adelphi, ma apprezza molto tagli nuovi e studiati come quelli che propone Iperborea, o anche i recenti Einaudi. Per esempio, ho iniziato a leggere «Tasmania» di Paolo Giordano, oltre perché subissata da contenuti in merito dalla mia bolla social, perché attirata dalla copertina realizzata da LRNZ, nome d’arte di Lorenzo Ceccotti, illustratore che collabora con Einaudi e altre case editrici. Mi ha ricordato il «Viandante sul mare di nebbia», dipinto iconico del Romanticismo ottocentesco di Caspar David Friedrich e un grande amore (scontatissimo) degli ultimi anni di liceo. Calmante, romantica, tutta serendipity. Sul libro ho qualche riserva, ma ne riparliamo il mese prossimo perché mi mancano le ultime 50 pagine.

La copertina di Tasmania
La copertina di Tasmania

Ecco intanto i sei libri consigliati dalla redazione per febbraio. Qui trovate quelli di gennaio, se volete tornare più indietro basta cliccare sui link interni agli altri articoli. Se volete scriverci, fatelo qui o sui social del giornale.

Il male che gli uomini fanno
di Sandrone Dazieri

La copertina di Il male che gli uomini fanno
La copertina di Il male che gli uomini fanno

(Harper Collins, 2022, pp.544, euro 20)

Menti malate, sconvolte, abusate. Anime nere, cupe, disoneste. Due epoche diverse, tenute insieme da flashback elettrizzanti. Che proiettano il rapimento di una 16enne in un terribile incubo di 30 anni prima. Una storia di sommersi e salvati che ti sconvolge ad ogni pagina.

Dopo aver chiuso la trilogia dedicata a Dante Torre e Colombano Caselli, Sandrone Dazieri torna a regalare scariche di adrenalina letteraria con «Il male che gli uomini fanno», tesissimo thriller che ruota attorno alla misterioso scomparsa della giovane Amala Cavalcate. Un rapimento che innesca una terribile rincorsa ad un mostro del passato, il Persico. Feroce assassino rimasto senza volto. Dazieri concepisce una architettura narrativa in bilico tra ricordo e azione, disseminando il romanzo di personaggi affilati e irresistibili, a cominciare dal misterioso Jerry, che giocherà una partita senza esclusione di colpi per ritrovare Amala.

Scuro e avvincente l'ultimo lavoro di Dazieri esplora ancora di più i lati sordidi e violenti dell'animo umano. Senza mostrare pietà, eleva la vendetta a forma più nobile di catarsi. Quasi rinunciado alla speranza che ci si possa salvare dai fantasmi del passato.

(Rosario Rampulla, redazione Cronaca)

«Alla linea»
di Joseph Ponthus

La copertina di Alla linea
La copertina di Alla linea

(traduzione di Ileana Zagaglia, Bompiani, 2022, pp. 239, 17 euro, ebook 9.99 euro)

«Alla linea» è un poema in versi liberi ambientato in fabbrica, diventato un caso editoriale in Francia e in cui Joseph Ponthus racconta la sua esperienza lavorativa. L’autore transalpino (1978-2021), dopo aver studiato letteratura e aver fatto l’educatore a Parigi, si trasferisce in Bretagna per seguire la donna che ama. Ponthus scrive nei ritagli di tempo e riflette della sua condizione di operaio interinale finito senza alcuna preparazione prima in uno stabilimento dove si lavora il pesce e poi in un mattatoio. 

Le opere di René Char, di Pierre de Ronsard, di Jean de la Bruyère, di Victor Hugo e di Guillame Apollinaire riempiono le giornate dello scrittore francese stremato dalla realtà della fabbrica. Un luogo in cui, scrive citando Carl Marx: «il sistema capitalistico ricorre per perpetuare sé stesso e massimizzare i profitti». Ponthus aggiunge ai gesti ripetitivi della catena di montaggio anche massime di autori latini, romanzieri del Novecento e cantanti popolari. La fabbrica descritta da Ponthus si riscopre dunque un luogo di comprensione e approfondimento di sé stessi, «come lo è la letteratura» ammette l’autore.

Joseph Ponthus racconta che nel cuore dell’Europa la classe operaia non è morta, nonostante il numero enorme di contratti, le più strambe mansioni e gli insostenibili orari di lavoro che essa deve accettare. Nelle fabbriche in cui il francese è stato chiamato, gli interinali sono una percentuale crescente di una forza lavoro costantemente sotto il ricatto del rinnovo del contratto. In Italia, tra i primi a scrivere di lui è stato l’autore e traduttore Alberto Prunetti: «Joseph Ponthus dal banchetto della vita se n’è andato troppo presto, a 42 anni, con un solo libro di narrativa pubblicato, che vale come un capolavoro. La sua esistenza è stata breve, ma il suo tempo non è stato perduto, come in A la ligne si diverte a dire sfrontatamente a monsieur Proust: Cher Marcel, ho trovato quel che tu cercavi. Vieni in fabbrica. Te lo mostrerò io, il tempo perduto».

(Erminio Bissolotti, redazione Economia)

«Platone, c'ho l'ansia»
di Benedetta Santini

Il disegno di copertina di Platone, c'ho l'ansia
Il disegno di copertina di Platone, c'ho l'ansia

(Mondadori, 2022, pp. 156, 17,50 euro, ebook 9,99 euro)

Contro l'ansia scendono in campo Talete, Socrate, Platone, Aristotele, Seneca, Fichte, Schopenhauer e Nietzsche. Ma soprattutto scende in campo Benedetta Santini con il suo primo libro, scritto dopo il successo della sua pagina social «Filosofia e caffeina», che vanta oltre 300mila follower. La giovane autrice bresciana ci illustra con chiarezza e semplicità i pensieri complessi e le vite complicate di otto grandi del passato, in un percorso di crescita psicologica che aiuta il lettore a trovare esempi e strumenti per superare le difficoltà che a volte ingabbiano le nostre vite. Alla base c'è l'idea che la riflessione filosofica non sia una cosa solo da specialisti: la filosofia può uscire dalle aule universitarie per aiutarci a mettere uno spazio di riflessione tra gli eventi che ci capitano e la nostra reazione. E può far sì che anche i problemi assumano contorni meno inquietanti.

(Marco Tedoldi, redazione Cronaca)

«Senza respiro»
di David Quammen

La copertina di Senza respiro
La copertina di Senza respiro

(traduzione di Milena Zemira Ciccimarra, Adelphi, 2022, pp. 526, 26 euro, ebook 12,99 euro)

Leggo la dedica: «A tutti coloro che hanno perso i propri cari in questa pandemia». Poi la collego al titolo, quel «Senza respiro» dai significati molteplici. Per chi ha perso i propri cari, quel senza respiro lasciato dal dolore cupo, lacerante, disumano causato da un distacco improvviso e dall'atrocità dell'ultimo saluto negato. 

Quel «senza respiro» è anche di chi non riusciva a respirare a causa della malattia causata da SarsCov2. O dei molti che, senza respiro, hanno assistito migliaia e migliaia di persone negli ospedali in affanno. E, fuori, l'essere senza respiro di chi è stato testimone di un evento totale che ha pesantemente inciso sulle nostre vite. Ecco, a tutte queste persone, dunque a tutti noi, è dedicata l'ultima fatica letteraria di David Quammen, «Senza respiro», edito da Adelphi. È in libreria già dallo scorso ottobre. In queste poche righe non si parla quindi di una novità, come è consuetudine per le recensioni. Come non era una novità nel 2020 «Spillover», dello stesso autore, che Adelphi ha tempestivamente ristampato a sei anni dalla prima edizione italiana.

Non sono due testi per chi vuol dimenticare rimuovendo quello che è accaduto. David Quammen, saggista e divulgatore scientifico americano, alla domanda su «cosa ci insegna la pandemia» risponde «che ne arriverà un'altra ma che, questa volta, non ci troverà impreparati».

In «Spillover», salto di specie appunto, l'autore spiega che il passaggio dei virus dagli animali all'uomo avrebbe potuto causare danni incalcolabili. Era il 2012, non un secolo fa, ma allora alla maggior parte della popolazione, politica inclusa, sembrava fantascienza, e le previsioni vennero accolte con la stessa lontana freddezza riservata alle notizie sulla Sars del 2002 o, poco prima, a quelle sull'influenza suina. Gli inviti alla prudenza lanciati dagli infettivologi vennero ampiamente disattesi.

Poi, nella notte tra il 20 e il 21 febbraio 2020, con il ricovero del paziente 1 a Codogno, il Covid-19 entrò ufficialmente in Italia. Ed è stato l'inizio di una nuova era: prima e dopo la Covid-19.

Scrive Quammen, a proposito di SarsCov2: «Per alcuni non è stata una sorpresa, l'arrivo di questa pandemia, non più di quanto possa esserlo il sopraggiungere di un evento tristemente ineluttabile. Mi riferisco agli esperti di malattie infettive. Per decenni lo avevano visto avvicinarsi, come un puntino scuro all'orizzonte delle pianure del Nebraska, che procedeva rombando verso di noi con velocità e forza incalcolabili, come un tir carico di polli o di acciaio andato fuori controllo». 

Siamo noi, è la nostra storia. È la storia delle nostre vite offese, umiliate, sbalordite.

Nelle 526 pagine di «Senza respiro», di cui una sessantina dedicate alla bibliografia, l'autore ricostruisce, minuto per minuto, come la scienza abbia reagito di fronte ad un problema inedito e come abbia vinto in tempi brevi, grazie ai vaccini frutto di una ricerca che, esplorando altri fronti, andava avanti da anni. 

Come dobbiamo prepararci a future pandemie? Nel libro David Quammen spiega che ci sono due scuole di pensiero. La prima, punta più su un monitoraggio costante di ogni possibile caso di virus animale, con tanto di sequenziamento, per cercare di intercettare quelli con maggiore potenzialità di passare agli umani e cercare di intervenire prima dello spillover. La seconda consiste nel censire i focolai sospetti di malattie umane, ovvero mettere in piedi la cosiddetta «sorveglianza attiva», un sistema di test rapidi e tamponi, con protocolli ben oliati di quarantena se necessari. «Sarebbe bello poterseli permettere entrambi ma, realisticamente, mi sembra che il secondo consenta una gestione più razionale delle risorse» sostiene Quammen. 
Analisi, riflessione, suggerimenti. Per evitare trovarci, ancora, a mani nude.

(Anna Della Moretta, redazione Cronaca)

«Storie vestonesi - Ricordi del "Sergente"»
di Mario Rigoni Stern

La copertina di Storie vestonesi
La copertina di Storie vestonesi

(a cura di Giancarlo Marchesi, Grafo, 2021, pp. 110, 10 euro)

Se siete, come me, fra coloro che si fanno venire gli occhi lucidi quando sfilano gli Alpini, il libro che fa per voi sono queste «Storie vestonesi». Si tratta della raccolta di testi che a vario titolo legano lo scrittore Mario Rigoni Stern, autore de «Il sergente nella neve», alla comunità di Vestone, nel ricordo della tragica epopea della campagna di Russia, ma anche nella profetica prospettiva di un nuovo rapporto tra uomo e natura. 

Giancarlo Marchesi, curatore appassionato di questo volumetto giunto alla seconda edizione ampliata, nella prefazione ci indica la genesi di questi testi nella profonda amicizia che legò due uomini, Rigoni Stern e il farmacista Felice Mazzi, e che avvicinò Asiago e Vestone, fino a farne un'unica terra. Se la parte più commovente è quella relativa ai testi che il narratore dedicò ai suoi ritorni in terra vestonese e alla immersione nelle dolorose memorie della guerra, la parte più sorprendente e attuale del libretto sta nel discorso «La natura nei miei libri», che - ci informa Massimo Tedeschi nell'introduzione - è stato «studiato e divulgato con entusiasmo alla comunità scientifica» da un culture di Rigoni Stern come Luca Mercalli. 

Un testo del 1989, nel quale si trovano frasi come questa: «La terra, l'aria, l'acqua non hanno padroni ma sono di tutti gli uomini o meglio di chi sa farsi terra, aria, acqua e sentirsi parte di tutto il creato». Pagine davvero preziose.

(Paola Carmignani, redazione Cultura e Spettacoli)

«Tutti i fuochi il fuoco»
di Julio Cortázar

La copertina di Tutti i fuochi
La copertina di Tutti i fuochi

(traduzioni di Ernesto Franco e Flaviarosa Nicoletti Rossini, Einaudi, 2014, pp. 156, 10 euro)

Di cosa parliamo quando parliamo di racconto? Dimenticatevi (ma non troppo) il Carver più o meno levigato da Gordon Lish per immergervi nella lettura dei racconti di Julio Cortàzar, per esempio gli otto raccolti in «Tutti i fuochi il fuoco». Centocinquantesei pagine che mostrano la versatilità di un genere sempre vitale (seppur poco frequentato dai lettori in confronto al romanzo) attraverso otto storie tutte diverse l’una dall’altra per ambientazione e struttura, registro e linguaggio... qui domina una ricchezza sovrabbondante ma raffinatissima, come dimostra per fare un solo esempio la vivace circolarità di «La salute degli infermi». Tra questi racconti del grande scrittore argentino, il preferito è «La signorina Cora»: sorprendente monologo... a più voci che spiazza di continuo e infine commuove.

(Francesca Sandrini, redazione Cronaca)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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