Salmo: il rap esplode come un candelotto di dinamite
Un bacio a tutti come «Giuda» e dal palco Salmo predica saltando, lo farà quasi senza pause per circa due ore, e ai suoi piedi è un’osanna collettiva che sa di rito tribale. Venti minuti di ritardo, quaranta i gradi percepiti non appena compare in scena in t-shirt arancio, con dietro un fondale da rooftop newyorkese. Al «Playlist Summer Tour» mancano più di due mesi, ma ieri sera al PalaGeorge si respirava già quell’atmosfera da festival estivo. Quello autentico che puzza di Ichnusa rovesciata sulle scarpe, sudore di teenager (molti meno di quanto si potesse pensare), pogo selvaggio (ha regalato anche un pezzo metal), bandiere dei quattro mori: c’è tutto. Mancano i telefonini sintonizzati su Instagram, tutti troppi impegnati in «su le mani» e lancio della scarpa, con lui che li ammonisce: «Raga non fatevi male».
Classe 1984, Maurizio Pisciottu si esibisce esplosivo davanti a un palazzetto murato di gente. Tappa sold-out manco a dirlo, come tutte le altre finora, compresa quella in scena stasera al Mediolanum Forum di Assago. Un’ascesa folle, se si considera l’uscita di «Playlist» solo cinque mesi fa e già triplo disco di platino, fino all’ultimo singolo in radio, «Cabriolet», con Sfera Ebbasta. Ma a Montichiari di trap neanche l’ombra, «ye-ye» vietatissimi. Il pubblico era quello del rap duro, spinto fino all’hardcore. Uno show da rime sputate rabbiose dal palco, spesso abbaiate, e replicate dalle gradinate. «Lebon al mic» e gli altri tutti dietro, a sfogare un’energia che ha l’amaro della protesta e della denuncia sociale. D’altronde lui spinge dalla prima canzone, «90MIN», che alla pubblicazione lo scorso settembre ha frantumato record mai visti in Italia (un milione di stream in 24 ore e doppio disco di platino): «Prego mettetevi comodi, è cominciato lo show: come viaggiare in economy senza le buste del vomito».
E la stretta allo stomaco non si fa aspettare, con una scaletta che scava nei vecchi successi e sfoggia prepotente le nuove hit. «Stai zitto», «Perdonami», «Prega per me» sembrano avere senso anche solo elencate una dietro l’altra, mentre si impastano con i pilastri della carriera (guadagnata e non piovuta dal cielo) del rapper che viene dal rock. È con «Russel Crowe» che il candelotto di dinamite targato Olbia incendia i fedelissimi del PalaGeorge.
La botta di fiele arriva con «Lunedì», scritta «due anni fa quando la vita mi faceva schifo», ma interpretata con l’orgoglio del riscatto di chi da quel fango è uscito. I fan, che quel salmo (minuscolo) ce l’hanno in gola dalla prima all’ultima nota, gli fanno il coro devoti. Poi si scivola avanti con un medley per i nostalgici, interrotto da una scenetta in stile Narcos con la pistola a salve in «Sparare alla luna», per poi chiudere con «Il cielo nella stanza». Lui per una notte aspirava ad essere una divinità del flow e il suo pubblico non aspettava altro che qualcuno da adorare fino a restare senza voce.
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