Cultura

«Quell’idiota di Bobo: 40 anni di storia del nostro paese»

A colloquio con Sergio Staino, che ha appena compiuto 80 anni
Il Bobo di Staino - © www.giornaledibrescia.it
Il Bobo di Staino - © www.giornaledibrescia.it
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«Ho cominciato a disegnare quando avevo tre anni con la mamma che mi aiutava, mentre il babbo era lontano, in guerra, e quei momenti di disegno con lei sono diventati momenti di una felicità totale. Esprimere le tensioni che ho dentro con il disegno è la cosa che mi ha aiutato di più nella vita. Attraverso Bobo ho messo sulla carta tutte le mie peregrinazioni e frustrazioni e ho imparato a riderci sopra: così ho risparmiato i soldi dello psicanalista. Continuo a disegnare, anche se ora ci vedo poco. E mi chiedo: perché Dio non ha fatto diventare cieco Beethoven e sordo me?».

Il giornalista, autore tv e disegnatore Sergio Staino, l’uomo le cui vignette satiriche sono più incisive di un articolo di fondo, il padre di «Bobo», incorruttibile e sensibile anima candida della sinistra, a cui non difetta però un’arguzia pungente, ha voglia di raccontarsi. L’8 giugno scorso Staino (che è di casa in Valcamonica per merito del festival «Dallo sciamano allo showman», diretto da Nini Giacomelli) ha compiuto 80 anni e festeggia il traguardo con un libro scritto con il filosofo Mario Gamba e Marco Feo (sarà in libreria dal 25 giugno): scrive, disegna e parla di sé, delle sue idee politiche, sogni e speranze, in una lunga intervista che ha il sapore del memoriale, in cui glorifica «Quell’idiota di Bobo» (La Nave di Teseo, 176 pp., 16 euro) «In difesa del buonismo nella vita, nella satira e nella politica». Il libro è illustrato con numerose vignette e storie di Bobo. Abbiamo intervistato l’autore.

Staino, 40 anni di Bobo che sono 40 anni di storia italiana: come sono cambiate la politica e la società in questo quarantennio? Sono cambiate tantissimo. Bobo nasce nel 1979, quando stava finendo la spinta innovativa del ’68, e la poetica della rivoluzione del «tutto e subito» era dietro l’angolo: iniziava una nuova stagione, in cui si faceva strada una posizione dura di critica assurda, che ha aperto le porte all’antipolitica. Negli anni del craxismo si son gettate le basi del populismo che paghiamo oggi. Non mi tiro indietro: sono stato un anticraxiano doc, non ho capito l’importanza invece di un ritorno serio a una posizione socialdemocratica, e ho colto del craxismo solo la superficie.

La gentilezza e la bontà, hanno un valore politico? Sì. È quello che cerco di raccontare a posteriori attraverso questo libro in difesa del buonismo. Ho capito che al di là delle frasi che si dicono in politica, per fare della buona politica, bisogna essere buoni dentro. Io di Craxi vedevo solo l’arrivismo, la voglia di comandare. Ma quando ho sentito le parole d’ordine di Grillo, ho capito che bisogna essere delle grandi persone dentro, prima di diventare dei grandi politici. Di lì parte quell’antipolitica maledetta, con le sue conseguenze sull’oggi.

Con questo vuol dire che non approva il governo in carica? La vivo come un male minore. Se potessi fare il governo dei miei sogni, resterebbero pochi dei ministri attuali.

Lei oggi è ancora comunista? Comunista non mi posso più dire. La storia ci ha dimostrato che il comunismo è stato un sogno tragico, perché in tutte le situazioni in cui ha vinto, abbiamo trasformato la società che volevamo cambiare in un feroce stato di polizia, molto spesso peggiore di quello che avevamo abbattuto.

Allora che cos’è lei oggi? Sono un anarchico riformista. Sembra un ossimoro, ma oggi l’anarchia che raccoglie in sé l’utopia dell’uguaglianza sociale deve avere l’intelligenza del cuore e fare una politica riformista. Il riformismo da solo - se non è mosso da questo ideale di fondo - porta alla corruzione e all’interesse privato. E l’anarchia da sola, quando non sfocia nella violenza, si riduce a non fare niente.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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