Cultura

Quell'amaro caffè di Sindona

Gli ex magistrati Simoni e Turone ricostruiscono la storia del sinistro banchiere
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Un intrigo internazionale che coinvolge banche, governi, istituzioni religiose e logge massoniche. Una serie di operazioni finanziarie e di truffe di dimensioni ciclopiche. Un cast fatto di banchieri corrotti, politici di successo, potenti cardinali, gran maestri, boss mafiosi e killer prezzolati. Un finto sequestro di persona, un finto ferimento, un omicidio vero, un omicidio camuffato da suicidio e un suicidio camuffato da omicidio.

Non è la sintesi di un best seller nè il soggetto di un film. È più semplicemente e tragicamente la storia, un episodio della storia del nostro Paese che risale a poco più di vent'anni fa. È la vicenda di Michele Sindona (nella foto), della sua straordinaria ascesa e della sua drammatica rovina, che fece enorme scalpore e provocò disastri all'economia non solo italiana, ma che oggi pochi ricordano bene. E per recuperare la memoria di quei fatti arriva nelle librerie "Il caffè di Sindona", un libro scritto dagli ex magistrati Gianni Simoni e Giuliano Turone, che indagarono sulla morte per avvelenamento in carcere del banchiere siciliano e che oggi ripropongono la loro inchiesta insieme ai risultati di altri processi per far ricordare quel periodo, togliendo di mezzo preconcetti e leggende.

Per capire quanto poco si ricordi della vicenda del crack della Banca Privata Italiana di Sindona, del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi e della fine dei due banchieri, ho provato personalmente ad effettuare una rapida inchiesta in redazione: su 18 colleghi intervistati, alcuni specializzati in economia, altri in cronaca nera e tutti informati sull'attualità italiana e internazionale, solo 8 ricordavano con sufficiente precisione le vicende delle due banche, ma solo uno sapeva con certezza come fosse morto Michele Sindona. Per dire dell'utilità dell'operazione dei due ex magistrati diventati ottimi scrittori che, dalle carte processuali, hanno saputo estrarre una sorta di romanzo verità, che affascina e intriga, che scandalizza e fa pensare.

La trama è complicatissima e avvincente, e il centro della vicenda, il caffè al cianuro che uccise il banchiere siciliano nel 1986 nel carcere di Voghera, viene spiegato da due investigatori sopraffini che non hanno lasciato al caso alcun particolare ed hanno concluso, in termini di assoluta certezza, che quel caffè avvelenato fu l'ultima recita di un grande istrione.

Dal libro di Turone e Simoni esce chiara e inquietante la lunga e incredibile vicenda umana e pubblica di Michele Sindona, che portò l'Italia sull'orlo di un baratro di dimensioni incalcolabili. Ma Sindona, il banchiere capace di inscenare il proprio sequestro e di dare l'ordine di uccidere l'avvocato Giorgio Ambrosoli venne fermato. Perché nel cast di questa storia ci furono fortunatamente alcuni "galantuomini", come li definiscono gli autori del libro. L'avvocato Giorgio Ambrosoli prima di tutti, che diede la vita per la sua rettitudine; il governatore della Banca d'Italia Paolo Baffi e il suo vicedirettore Mario Sarcinelli, che ignorarono pressioni e calunnie e non permisero gli ultimi disperati tentativi di salvare Sindona; galantuomini come un gruppetto di magistrati che indagarono a fondo e scoprirono la verità. E tra questi galantuomini, che semplicemente ma con enormi difficoltà fecero il proprio dovere, vanno annoverati anche Gianni Simoni e Giuliano Turone, col merito ulteriore di aver voluto mantenere viva quella verità e quegli esempi.

Alberto PellegriniIL CAFFÈ DI SINDONA

Gianni Simoni, Giuliano Turone

Einaudi - 197 pagine, 16 euro

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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