Quella volta che i Pink Floyd vennero in concerto a Brescia
C’è un libro «made in Brescia» che celebra, con un paio di mesi d’anticipo, un favoloso mezzo secolo. È in libreria con Liberedizioni «Pink Floyd a Brescia. Il concerto», scritto da Mirko Boroni: un «viaggio nel mito tra storia e passione», che racconta l’epocale live che ebbe luogo quasi per caso nella nostra città, il 19 giugno 1971. In quell’anno la band, che avrebbe conquistato il mondo con il suo sound inconfondibile, aveva già raggiunto una sostanziosa fama internazionale, ma ancora non aveva calcato i palchi italiani.
E quando Waters, Gilmour, Wright e Mason accettarono (solo per mille sterline a serata, quasi 13mila e 500 euro di oggi) di suonare nel nostro Paese, non era certo Brescia - periferia di un «impero» che contava su capitali musicali quali Milano, Roma e Bologna - uno dei luoghi previsti. Invece, prima della data capitolina, fu proprio la Leonessa d’Italia ad aggiudicarsi la serata del 19 giugno, approfittando delle incertezze burocratiche e dei problemi di ordine pubblico che frenarono il capoluogo lombardo e quello emiliano, pubblicizzato sui periodici specializzati come sede designata. Sul Giornale di Brescia di quel giorno apparve la seguente foto-notizia: «Spettacolo per i giovani, questa sera alle ore 22 all’Eib, dove sarà ospite il complesso inglese dei Pink Floyd, uno tra i più quotati del momento. Ingresso unico a L. 1500» (circa 13 euro di adesso).
Il passaparola fu decisivo per avvisare della svolta bresciana: era allora buona (e rimpianta) consuetudine che i manifesti degli appuntamenti culturali venissero affissi in bella mostra sotto i portici di corso Zanardelli, da cui le informazioni si propagavano rapidamente. Non fino al punto da varcare le soglie della provincia, tuttavia, se è vero che Gigi «Berghem» Zucchinali - oggi solido professionista della chitarra a Brescia, a quei tempi diciassettenne orobico di belle speranze - partì per Bologna al mattino presto, facendo l’autostop, e ritrovandosi con centinaia di altri ragazzi muniti di biglietto, di fronte a un Palasport che non dava segni di vita: «Per fortuna era da poco passato mezzogiorno; compreso l’equivco, via di corsa con il pollice alzato, e prima di sera ero ai cancelli dell’Eib».
Quanti spettatori? Secondo le cronache, gli spettatori oscillavano tra le 4mila e le 5mila unità. I ricordi di alcuni spettatori alzano però l’asticella fino a 10mila, mentre Francesco Sanavio (che organizzò l’evento con Franco Mamone, curiosamente riportato con doppia «m» sulle locandine) in più occasioni ha dichiarato che erano «almeno 15/18mila i biglietti venduti».
Nel libro, Boroni confronta le diverse ipotesi e incrocia i dati fino a ritenere plausibile una forbice compresa tra 5 e 7mila, ma sospende infine il giudizio per assenza di certezze. Quello che invece emerge chiaro, oltre le cifre ballerine, è l’impatto che i Pink Floyd ebbero sul pubblico. Ci racconta Angelo Negrini di Manerbio, uno di coloro che entrarono nel «ciambellone» dell’Esposizione Industriale Bresciana con una discreta conoscenza della band: «Avevo sedici anni, e la musica dal vivo era per me una fantastica esperienza collettiva, un modo di stare assieme, di crescere, di allargare gli orizzonti. Sotto quest’ultimo profilo, i Pink Floyd furono decisivi: mi fecero scoprire un mondo di sonorità che non avrei più abbandonato».
Per Gigi Berghem, invece, non fu amore a prima vista: «Smaniavo per il suono essenziale dei Cream, per cui fui quasi disturbato da effetti e sperimentazione. Ma con il tempo ho imparato ad apprezzare la grandezza di Waters & co».
Gilmour a passeggio. Nella sosta bresciana, i Pink Floyd alloggiarono all’hotel Gambero Nuovo (che oggi non esiste più), al civico 39 di via Gramsci. Fu soprattutto David Gilmour ad avventurarsi per le vie cittadine, nel pomeriggio: venne avvistato sotto i portici, fermo di fronte alle locandine dei concerti e ai negozi di dischi e strumenti; c’è addirittura chi sostiene che scosse la testa guardando il manifesto che presentava lo show di Rory Gallagher al Teatro Sociale, commentando con fastidio l’«eccessiva velocità» del collega irlandese. Gallagher suonò davvero a Brescia nel febbraio 1972, ma le date paiono distanti; per cui resta il dubbio: reale, acerrima rivalità tra mostri sacri della seicorde o leggenda metropolitana di quelle che sovente fioriscono intorno ai miti?
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