Quella pittura forte e inquieta che Bernini teneva tutta per sé
Sono muscoli torniti, mani che fremono, sguardi possenti. È olio denso come il marmo, a tratti quasi tridimensionale. Pittura scultorea, e non potrebbe essere altrimenti, quella che prende vita nelle quattro tele di Gian Lorenzo Bernini, da ieri esposte alla Casa Museo Fondazione Paolo e Carolina Zani di Cellatica.
Il progetto
I preziosi dipinti, di cui uno esposto per la prima volta, provengono dalla collezione privata di Fabiano Forti Bernini, erede dell’artista, e resteranno nella sala dedicata alle temporary exhibitions fino al 29 ottobre. La mostra-dossier «Bernini privato. La forza e l’inquietudine», curata dal direttore della Casa Museo, Massimiliano Capella, con gli esperti berniniani Steven F. Ostrow e Francesco Petrucci, celebra così il grande genio della Roma barocca all’interno di una delle raccolte d’arte barocca più rilevanti d’Italia.
«Questo è il luogo del Barocco - ribadisce Capella -, e riuscire ad avere come evento conclusivo dell’anno di Brescia Capitale della Cultura questa straordinaria mostra non era scontato. Le opere dell’architetto, scultore e pittore che rese immortale la forza e il movimento nell’arte seicentesca sono poste in dialogo con le oltre cento sculture e complementi d’arredo di epoca barocca e tardo barocca che punteggiano i sontuosi ambienti della Casa Museo e lo scenografico giardino che la circonda».
Le opere
I dipinti realizzati da Bernini, come riportato dal figlio Domenico Bernini nella sua biografia datata 1713, si stima fossero tra i 150 e i 200. Quelli oggi noti e ritenuti autografi sono circa venticinque. La mostra-studio di Cellatica ne espone quattro, unitamente al bronzetto del celebre «David» della Galleria Borghese, custoditi da secoli nella collezione di famiglia. «Per Bernini la pittura era un divertissement - chiarisce l’erede dell’artista -. Eccezion fatta per Papa Urbano VIII, nessuno gli commissionava dipinti. Quindi era più che altro un’esercitazione, eppure il suo talento si nota».
La tela del «San Sebastiano» offre una lettura del martirio del tutto innovativa rispetto alla sua canonica raffigurazione: il capo è piegato, lo sguardo indirizzato oltre la spalla (e non verso il cielo), l’espressione rabbiosa, nel tentativo di liberare le mani dalle corde. La stessa tensione la si ritrova nella tela «Sansone e il leone», esposta al pubblico per la prima volta: anche qui una composizione del tutto originale, di notevole forza dinamica e con una resa scultorea del corpo. «San Sebastiano e Sansone sono sculture riportate in pittura - conferma Forti Bernini -. Il mio antenato ha introdotto il movimento in scultura, con figure che si staccano e sembra che volino. Questo lo si vede anche nei suoi dipinti, che sono poco conosciuti, ma lui ci teneva molto a essere riconosciuto anche come pittore, e questa è una bellissima occasione».
Ispirazione
Meno dinamiche ma altrettanto plastiche le altre due tele esposte temporaneamente nella Casa Museo di Cellatica. L’«Angelo Allegorico» è ritratto secondo l’iconografia tradizionale dell’allegoria dell’amor divino. Inedito è tuttavia l’impianto generale, con «la figura alata colta nell’atto di librarsi sopra un segmento di globo terrestre - scrive Ostrow nella scheda del catalogo che accompagna la mostra -, avvolta nella luce divina proveniente dall’alto, che lascia ipotizzare che la composizione sia frutto della fantasia dell’autore. Bernini forse trasse ispirazione dalla lettura del “Trattato dell’amor di Dio” di San Francesco di Sales, tra i suoi scrittori prediletti in tema di letteratura religiosa».
Di notevole qualità, infine, è il «Ritratto di Martino Martini», noto missionario, geografo e cartografo. L’espressione bonaria e indulgente del soggetto e il gusto per l’incompiuto riscontrabile nei tocchi di colore sulla tela grezza appaiono in linea con gli esiti introspettivi della ritrattistica berniniana. Come nota Petrucci, «le pennellate impressionistiche e un sapiente uso delle lumeggiature, in grado di far emergere il volto dalla penombra, rendono la tela una coerente espressione del neovenetismo della scuola romana della prima metà del secolo successivo, riconducendone altresì la paternità ai modi più tipici di Bernini».
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