Cultura

«Piano Reporter», il concerto del 22 aprile raccontato da Marta Volonghi

Questo elaborato fa parte del progetto promosso dal Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo e da Cieli Vibranti
Il giovane pianista Mao Fujita al Teatro Grande - Foto New Reporter Nicoli © www.giornaledibrescia.it
Il giovane pianista Mao Fujita al Teatro Grande - Foto New Reporter Nicoli © www.giornaledibrescia.it
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Questo elaborato, scritto da Marta Volonghi (liceo Calini), fa parte del progetto «Piano Reporter», promosso dal Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo e da Cieli Vibranti.

La serata di apertura del Festival Pianistico è l’evento mondano che non ti aspetti: clima conviviale, convenevoli e look eccentrici; all’adolescente di oggi può sembrare di trovarsi ad un ricevimento degno di una serie in costume. All’inizio del concerto, significative le parole della presidente del Festival Pianistico Daniela Gennaro Guadalupi che, riprendendo il commento di Sgarbi riguardo la pianista russa sulla copertina del programma, anche in riferimento alle recenti ripercussioni che il conflitto tra Russia e Ucraina ha avuto sui concerti, ci tiene a sottolineare come la guerra non fermi l’arte.

Durante l’esecuzione del Concerto n. 3 in re minore di Rachmaninov emerge il carattere virtuosistico della composizione: ora il dialogo tra gli archi della Filarmonica della Scala, diretta dal maestro Chailly, e il pianoforte di Mao Fujita, ora la perfetta e armoniosa fusione tra i due creano un ritmo incalzante e contemporaneamente dolce che accompagna l’ascoltatore. Anche all’orecchio inesperto si palesa la ciclicità della composizione: dai già citati dialoghi, agli assoli, all’intervento dei fiati, tutto ritorna, rendendo l’ascolto piacevolmente confortevole in quanto familiare. Il finale, dalla grande forza espressiva, risulta la conclusione adatta al ritmo incalzante che cresce e decresce alternatamente nel corso di tutto il concerto.

Le prodigiose mani di Fujita congedano il pubblico per lasciare la scena alla Filarmonica e al maestro Riccardo Chailly che colmano il silenzio con la Patetica di Cajkovskij. La composizione è dotata sicuramente di un forte carattere introspettivo per quanto riguarda il suo compositore, le cui forti e turbolente emozioni sono perfettamente espresse in un prodotto altrettanto forte e solenne. L’andamento ondulatorio crescente e decrescente simulano rabbia e rassegnazione: la collera di chi si trova a fare i conti con l’inesorabilità del fato e l’accettazione di una situazione ineluttabile. Il ritmo prodotto dalle corde pizzicate degli archi pare il rintoccare di un orologio vicino allo scoccare dell’ora.

La serata si conclude fuori dal Teatro Grande: gli spettatori elegantemente vestiti si fondono alle luci e ai colori di Corso Zanardelli, dove il tempo riprende a scorrere, non più congelato dai suoni e dagli attimi della serata. I giovani che superano passeggiando la folla radunata paiono così lontani da quel ricevimento ottocentesco: il Festival Pianistico può essere il loro biglietto di ingresso nel mondo della musica classica.

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