Per agosto 11 libri consigliati dalla redazione (e un anno di bookclub)
L'anniversario esatto sarà domani, ma poco importa: questa rubrica compie un anno e la cosa non era affatto scontata.
Innanzitutto perché, come vi avevamo raccontato all'inizio, segue un po' i gusti di chi la scrive, che magari un mese legge qualcosa che gli piace moltissimo e il mese dopo invece si trova fra le mani una delusione e non gli va di tornarci su. E poi perché è nata senza pretese o obblighi per nessuno, visto che qui le giornate sono già abbastanza intense e volevamo che fosse qualcosa di piacevole anche per chi la fa, oltre che per lettori e lettrici. Speriamo quindi sia stato un primo anno di spunti interessanti e nuove scoperte. Per tanti di noi lo è stato, ci siamo scambiati vari titoli e questo spazio è diventato un po' anche il nostro bookclub di via Solferino.
Grazie per chi ci ha scritto, potete continuare a farlo qui, cliccando sui nomi in fondo alle recensioni o direttamente sui social.
Per questo primo compleanno di agosto trovate dieci libri da leggere o rileggere in vacanza (non tutti sono da ombrellone però!). Qui trovate la puntata precedente. Ci risentiamo a settembre!
«Passeggiate con i cani»
di Gianfranco Calligarich
(Bompiani, 2023, pp. 128, 15 euro)
A volte ci si lascia affascinare da un titolo, e un titolo come «Passeggiate con i cani» su qualcuno può esercitare un richiamo irresistibile. Chi, preso d’amore per un quattrozampe, non ha mai sperimentato la ricchezza interiore del girovagare seguendo le ondivaghe traiettorie del peloso amico?
Il libro di Gianfranco Calligarich, pluripremiato scrittore e sceneggiatore, cattura il lettore a poco a poco: allusivo, rilassante, contemplativo e - di questo lo «accusa» amabilmente un’amica - «sentimentale».
In brevi capitoli nei quali si intravedono in controluce celebri figure dell’editoria e della letteratura italiana, il protagonista - un «uomo considerevolmente anziano», scrittore e sceneggiatore, che nelle notti romane va a spasso nel suo quartiere con i cani, «padre e figlio di taglia media» - ripercorre spezzoni del film della sua vita, nello zibaldone di una memoria pacificata, così come i fatti gli si ripresentano alla mente, tra emozioni e fantasmi. Ripensa a persone che non ci sono più, ad epoche trascorse. Le donne amate, gli amici perduti - il libraio amico del mare di Sicilia, l’autore di riviste teatrali di successo - e alcuni grandi del Novecento incrociati sulla sua strada (belle e struggenti le pagine dedicate a Natalia Ginzburg) gli fanno intessere una meditazione sul valore dell’amicizia, degli affetti, della scrittura.
Se negli anni giovanili a Milano lo aveva colpito un ebreo che, rispetto alla moglie defunta, si comportava «come se lei fosse in casa, solo in un’altra stanza», da anziano il protagonista, di cui non conosciamo il nome, si trova - nelle sue passeggiate con i cani - ad intuire lungo la strada (anche da misteriosi segnali che le bestiole mandano) la presenza invisibile della donna amata, in un clima di attesa e presagio.
«Passeggiate con i cani» è un libro particolare, scritto con stile elegante, con una modalità espressiva molto personale, che fa leva su una forma durativa dell’infinito narrativo: un modo di narrare che amplia il respiro di chi, lettore, avendo accumulato tanti ricordi, può ben capire quanto «sentimentali» ci si senta, con il trascorrere degli anni.
(Paola Carmignani, redazione Cultura e Spettacoli)
«I miei giorni alla libreria Morisaki»
di Satoshi Yagisawa
(traduzione di Gala Maria Follaco, Feltrinelli, 2022, pp. 160, euro 15,20, ebook 8,99 euro)
Rarefatto come la nebbia che avvolge la cima del Monte Fuji al mattino e vibrante come le luci intermittenti di una serata a Shinjuku, «I miei giorni alla libreria Morisaki» (Feltrinelli, 160 pagine) non è forse un capolavoro della letteratura giapponese o un tomo imperdibile da rincorrere in libreria. Vero è altresì che il romanzo d’esordio dello scrittore Satoshi Yagisawa è un piacevolissimo intrattenimento, nonché un vero e proprio caso editoriale con 100mila copie vendute in soli sei mesi.
Yagisawa confeziona infatti un racconto capace di allertare i sensi e imbrigliare le percezioni con la levità di una favola di Miyazaki e il tratto scarno che pervade alcune pagine indimenticabili di Murakami. Al centro della vicenda la giovane Tatako che trova ricovero da una cocente delusione d’amore nella libreria dello zio Satoru. Il quale del suo accudimento e ricovero si fa carico, con riservatezza e discrezione, insieme all’intero quartiere di Jinbōchō.
I giorni di Tatako alla libreria Morisaki non seguono il tempo del calendario, ma si adattano alle stagioni emotive di una rinascita che germoglia fra le pagine dei classici della letteratura nipponica e viene innaffiata dai caffè sorseggiati insieme a uno sconosciuto avventore. La semplicità del quotidiano, la poesia del necessario e la magia del banale sono i medicamenti che leniscono l’animo offeso di Tatako e la restituiscono a una vita più piena e consapevole. Riportandole affetti perduti e regalandole incontri che determineranno il corso di una nuova esistenza, tutta da scrivere. Perché se «anche il viaggio più lungo comincia con il primo passo», quelli più belli si avviano dalla prima pagina.
(Ilaria Rossi, redazione Web)
«Il gigante sepolto»
di Kazuo Ishiguro
(traduzione di Susanna Basso, Einaudi, 2016, pp.320, 13 euro, e-book 7,99 euro)
Provare a raccontare un libro che si è letto tempo fa spesso risulta difficile. I ricordi sfumano, le scene sbiadiscono, i dialoghi si intrecciano. Come un alone però restano quelle immagini, emotive e mentali, che le pagine hanno impresso. Una nebbia multicolore rimane quando si parla delle pagine sfogliate.
«Il gigante sepolto» del premio Nobel per la Letteratura Kazuo Ishiguro è proprio tutto questo: nebbia. Quella nebbia che nel volume dello scrittore inglese avvolge tutto il suo mondo in bilico tra un medioevo e un universo fantasy del ciclo arturiano popolato da orchi e draghi, una bruma che impedisce ai protagonisti Axl e Beatrice di ricordare il loro passato.
Perché è sul tema del ricordo, così come su quello del senso di colpa, che si dipana la trama del romanzo, che narra di guerra, povertà, senso dell’onore, amore o famiglia sempre con quella leggerezza che tanto ricorda Italo Calvino. Una leggerezza che nella nebbia che tutto circonda vede la sua reificazione e insieme il suo contrario, una coltre che fa vedere sfuocato il passato, a noi e ai due anziani protagonisti. In questo libro non è infatti la gioventù, sebbene rappresentata attraverso diversi altri personaggi, ad essere centrale. La memoria e lo scorrere del tempo sono i padroni.
E così Axl e Beatrice partono per il loro viaggio di ricerca, circondati da una nebbia che piano piano si dirada. Come quando si riprende in mano un libro del quale, tra dolore e dolcezza, era rimasto solo un ricordo sfumato.
(Stefano Martinelli, redazione Web)
«La strada»
di Cormac McCarthy
(traduzione di Martina Testa, Einaudi, 2014, 218 pagine, 12 euro, ebook 7,99 euro)
Un padre e un figlio senza nome camminano lungo una strada in un mondo post apocalittico trascinandosi dietro un carrello che contiene tutto quello che possiedono. Devono arrivare all’oceano, approdo al contrario, evitando o annientando esseri umani sopravvissuti in uno stato di abbrutimento, resistendo a fame e malattie e orrore.
È «La strada» di Cormac McCarthy, il grande scrittore americano da poco scomparso. Rileggendolo viene da pensare a un legame tra questo romanzo vincitore del premio Pulitzer e un altro capolavoro, «Cecità» di José Saramago. Se ne «La strada» non si sa esattamente che cosa sia accaduto nel mondo in cui troviamo padre e figlio in cammino (forse una catastrofe nucleare che ha ridotto tutto in cenere), nel romanzo del Premio Nobel portoghese esiste un evento (comunque inspiegabile) da cui il racconto si sviluppa in un crescendo di spavento e disgusto. Ad ogni modo, in entrambi c’è un’umanità screata da una situazione estrema, c’è la belva in agguato in ogni uomo quando deve lottare per sopravvivere. E c’è la possibilità che la belva non prenda il sopravvento.
Ne «La strada» di McCarthy questa possibilità è incarnata dal bambino (in «Cecità» da una donna che conserva vista e pietà).
Nel dialogo asciutto, disperato e potente che percorre il romanzo, il bambino chiede al padre di non cedere alla belva. Lo supplica. Il padre però è già oltre, non perché abbia smesso di essere un uomo ma perché il suo cuore è ridotto in cenere come tutto il resto e «una parte di lui continuava a desiderare la fine». Il padre ha troppo visto e sofferto. Il bambino no: anche lui ha visto e sofferto ma può ancora andare avanti. È così che nel finale «La strada» affonda la lama e insieme regala un inatteso, commovente sollievo. Una speranza di salvezza.
(Francesca Sandrini, vicecaposervizio redazione Cronaca e Provincia)
«La carovana del sultano. Dal Mali alla Mecca: un pellegrinaggio medievale»
di Marco Aime
(Einaudi, 2023, pp. 289, euro 28)
Una fitta rete di legami e di scambi avvolgeva il Mediterraneo quando Mansa Musa, sultano del Mali, intraprese il suo pellegrinaggio verso la Mecca guidando un corteo lungo decine di chilometri e composto da migliaia di uomini e altrettanti dromedari che attraversarono il deserto carichi di quintali d’oro. Era il 1324 e quel viaggio, giunto fino a noi tra cronaca e leggenda, tramandato da tradizioni orali e scritte nei secoli a venire, è entrato nella storia. Una storia che oggi consegna a noi molto di quei legami, collocandone al centro un continente, quello africano, che proprio nei secoli a venire ha avuto il tragico destino di diventarne periferia. Leggere «La carovana del sultano» dell’antropologo Marco Aime aiuta, oggi, a guardare con occhi diversi i paesi dell’Africa subsahariana in cui in queste ore sta morendo l’impero coloniale della Francia, sopravvissuto per oltre sessant’anni alle annunciate indipendenze degli anni Sessanta. Muore sulle rive del fiume Niger. Anche il Niger, dunque, precipita ancor di più nella spirale della violenza e dell’insicurezza, dopo che quella della povertà estrema è ben nota ai nigerini, accomunati anche in questo ai loro vicini burkinabè e maliani.
Eppure, quando il sultano del Mali partì alla volta della Mecca e dopo incontri e intrecci diplomatici e d’affari giunse al Cairo, all’epoca per importanza equivalente alla New York dei giorni nostri, la fascia dell’area immediatamente subsahariana stava vivendo un periodo di splendore.
Cosa sappiamo del Sahel, ancora territorio di conquista e di spartizione, che vada al di là dei pregiudizi, dei luoghi comuni, dello sguardo dall’alto che molti europei riservano all’Africa, quasi fosse un insieme omogeneo di popoli, ignorando invece che è composta da cinquantaquattro stati distribuiti su ampi territori?
Molte risposte le fornisce Marco Aime che, nel suo meticoloso lavoro, ricostruisce e ripercorre quel pellegrinaggio, ridando dignità storica e culturale a popoli che sono parte integrante delle radici di quel mondo Mediterraneo cui anche il nostro Medioevo è accomunato. Un lavoro che invita a cambiare lo sguardo, perché esso, ancora prima del pensiero, può cambiare la realtà. Guardare all’Africa con occhi diversi - Marco Aime è maestro in questo- significa ritrovare le orme di un comune cammino tra popoli di mondi nemmeno troppo lontani.
(Anna Della Moretta, redazione Cronaca)
«Negli occhi di Marianne»
di Frédéric Dard
(traduzione di Elena Cappellini, Rizzoli, 2023, pp. 224, euro 14)
Ci sono scrittori che hanno la capacità di far vivere al lettore le esperienze dei personaggi ai quali danno forma, anche se in apparenza non hanno alcunché da spartire con lui. Lavorano in levare, su materiale umano minimo ed essenziale. Storie e destini finiscono così col definirsi attorno a pochi elementi cardine: pulsioni, desideri, istanze, ambizioni e accidenti del caso. Come i personaggi reagiscono a quanto si contrappone alla loro stessa realizzazione, alla spontanea tensione alla felicità, ne fa, in chiave tragica, modelli più o meno riusciti di umanità. Tra questi scrittori figura di certo Frédéric Dard. Prolifico narratore francese, per qualche verso assimilabile nel panorama letterario del Belpaese a Giorgio Scerbanenco, sta conoscendo una nuova primavera in Italia, dove pochi suoi titoli circolarono in particolare tra gli Anni ’50 e ’60, se si fa eccezione per quelli della fortunatissima e dissacrante saga delle inchieste del commissario Sanantonio. Lo si deve alla pubblicazione di alcuni suoi titoli, avviata nel 2021, nella collana NeroRizzoli.
Come altri titani del noir d’Oltralpe, Dard - autore di poco meno di 300 romanzi – ha scontato l’ingombrante presenza sulla scena europea di Georges Simenon, di cui pure era amico personale (dovendo menzionare un altro francese che ne condivise la sorte, il nome potrebbe essere quello di André Héléna, la lettura del quale parimenti ci permettiamo di caldeggiare). Detto questo, ultimo in ordine di apparizione sugli scaffali delle nostre librerie, tra i romanzi di Dard è «Negli occhi di Marianne». La storia prende avvio sulla costa catalana. Un incidente stradale intreccia fatalmente i destini di un pittore francese lanciato verso l’affermazione e di una affascinante quanto misteriosa connazionale. La giovane non ricorda nulla di sé, non ha un passato e il pittore si tramuta nel suo unico futuro possibile. Tanto basta ad innescare sull’arroventata sabbia del Mediterraneo una trama esplosiva. Con un doppio angosciante e allucinato, al quale fa da sfondo, quasi per contrappasso, un ambiente cittadino affogato in una Francia in bianco e nero.
La luce vibrante del Sud Europa resta nell’occhio del lettore che si interroga sul finale, che suona come una campana a morto per le speranze del protagonista. E con le sue forse pure per quelle del lettore e degli uomini tutti, nell'ambizione paradigmatica che muove più o meno consciamente la mano di ogni autore.
(Gianluca Gallinari, vicecaporedattore e caposervizio redazione Web)
Mercanti di Verità. La grande guerra dell’informazione
di Jill Abramson
(traduzione di Andrea Grechi e Chiara Rizzuto, Sellerio, 2021, pp. 895, euro 24, ebook 15,99 euro)
Un giornale non è fatto solo di notizie ma anche di persone. Da queste dipendono le gerarchie di cui è composta la redazione, ma anche le scelte editoriali e amministrative: dare o non dare una notizia, scrivere articoli lasciandosi influenzare dagli aspetti commerciali, scegliere di puntare sulla raccolta pubblicitaria sul quotidiano cartaceo oppure sigli abbonamenti digitali. «Mercanti di verità» di Jill Abramson fa entrare i lettori nel mondo del giornalismo visto all’interno delle newsroom di quattro giganti mondiali molto diversi tra loro: BuzzFeed, Vice, il Washington Post e Il New York Times, di cui Abramson è stata la prima direttrice esecutiva.
Un monumentale reportage narrativo frutto di tre anni di interviste, documentazioni e testimonianze in prima persona per raccontare gli stravolgimenti e le crisi che il giornalismo (e i giornalisti) stanno attraversando da vent’anni. Non è un libro per soli addetti ai lavori ma offre tantissimi spunti su vari temi attuali: dall’«effetto Trump» dopo la sua elezione con la conseguente polarizzazione della politica e dei media, fino al movimento #MeToo e i casi di molestie denunciati nelle redazioni, passando per l’ossessione per i click e i contenuti virali indotta da Facebook. E aiuta a capire un po’ di più un settore che da fuori a volte appare astratto ed elitario.
(Michele Maestroni, redazione Cronaca)
Lessico famigliare
di Natalia Ginzburg
(Einaudi, 2012, pp. 218, euro 6,99)
Una relazione è fatta anche, o soprattutto, di espressioni che capisce solo chi è dentro quella relazione. E infatti quando la relazione finisce, quelle parole muoiono, perché senza quel legame non hanno più alcun significato. Salvarle, quelle parole, mantenendole vive, è praticamente impossibile. Ed è quello che è riuscita a fare Natalia Ginzburg in quel breve, spassoso romanzo riconosciuto all’unanimità come il suo capolavoro. «Lessico famigliare» è la trascrizione romanzata con maestria e grazia di una storia orale: richiami, ricordi, parole ripetute con divertente costanza si intrecciano tra le stanze della casa di via Pastrengo della famiglia Levi a Torino e pochi altri luoghi. Non è un’autobiografia, nulla a che fare con l’auto-fiction postmoderna cui ci hanno abituati i romanzi dal Duemila. Lei, Natalia Levi Ginzburg, compare di sbieco solo ogni tanto: protagonisti sono gli intercalari dei suoi genitori e dei suoi fratelli, i «sempiezzi!» urlati a gran voce dal padre, «il baco del calo del malo» di Mario, i sospiri e le cantilene della madre, i vari zii Barbison e i «de cosa spussa l’acido solfidrico?».
«Lessico famigliare» è un racconto per aneddoti e scene brevi, con le descrizioni che cedono il passo a una lingua brillante e arguta, e in cui le vicende tragiche della Seconda guerra mondiale, delle leggi razziali e del fascismo entrano con una sorta di leggerezza. Distantissima in questo da Elsa Morante, Natalia Ginzburg scrive delle atrocità del suo tempo senza appesantirle con la loro bruttura, smorzando le fughe degli antifascisti dietro all’aria spaventata ma elettrizzata di Adriano Olivetti o nel ricordo di lei stessa bambina che muore dalla voglia di rivelare che l’uomo che ospitano in casa con il nome di Paolo Ferrari è in realtà Filippo Turati. Nemmeno nel racconto della prigionia, del confino e poi della morte di Leone Ginzburg, suo marito, si percepisce la gravità con cui i rapporti di forza che governano la storia schiacciano gli esseri umani. Le pennellate di dolore sono sempre compensate da qualche avventura o da una battuta sagace: ci sono le pagine - sublimi - sul suicidio di Pavese ma c’è anche il Pavese ironico e tagliente nei ricordi di un’amica dentro la casa editrice.
Natalia Ginzburg ha inseguito voci per ricostruire qualcosa, e salvarlo. E a noi ha regalato un libro da leggere almeno una volta nella vita.
(Laura Fasani, redazione Web)
«Svolta a destra? Cosa ci dice il voto del 2022»
ITANES
(Il Mulino, 2023, pp.272, 20 euro, ebook 13,99)
«Politica in Italia. I fatti dell’anno e le interpretazioni. 2023»
Genovese F., Vassallo S., (a cura di)
(il Mulino, 2023, pp.302, 28 euro, ebook 18,99)
Il 25 settembre 2022 la vittoria di Fratelli d’Italia e della coalizione di centrodestra ha chiuso una decade turbolenta della politica italiana caratterizzata da due governi tecnici e da esecutivi nati con maggioranze parlamentari che non ricalcavano l’esito delle urne. Un’anomalia che ha contraddistinto anche altri Stati europei (basta pensare alle coalizioni su cui si è retta la cancelleria tedesca prima della Merkel e oggi di Scholz) ma che ha tracciato un solco ancora più profondo tra sistema politico ed elettorato.
Una maggioranza politica ma anche numerica in Parlamento all’indomani del 25 settembre non può che essere una vera e propria cesura rispetto al recente passato; ma le ragioni di interesse sono molteplici a partire dall’insediamento a Palazzo Chigi della prima presidente del Consiglio donna della storia repubblicana. Giorgia Meloni nel 2014 non aveva conquistato nemmeno un seggio al Parlamento europeo per Fratelli d’Italia e oggi guida un partito di destra radicale che ha la maggioranza relativa nel Paese: non solo sono cambiati gli equilibri di forza all’interno del centrodestra, ma anche la scelta dell’elettorato italiano pone il nostro Paese in una posizione delicata, o quanto meno da interpretare, rispetto alle istituzioni europee.
Certo la politica italiana che ha dovuto smaltire le scorie della pandemia ha fatto i conti come tutti gli altri Stati europei con il conflitto in Ucraina e mai come negli ultimi 12 mesi la politica estera è stata tema di confronto politico. Da parte sua la Meloni ha rivendicato subito, da presidente del Consiglio, la propria fedeltà atlantica ortodossa (anche per rimarcare una differenza dai propri alleati di governo molto più soft nelle posizioni rispetto alla Russia). Un atlantismo che tuttavia non esclude un euroscetticismo che sarà banco di prova nei prossimi mesi in vista del primo vero test elettorale (le Europee del 2024) per Fratelli d’Italia come partito guida di una coalizione di governo e ispiratore primo della linea dell’attuale esecutivo. Lo scenario interno e quello internazionale si intrecciano con alcune grandi sfide che oggi anche l’Italia deve affrontare dal Piano nazionale di rilancio e resilienza (il Pnrr) alla differenziazione delle fonti di approvvigionamento energetico.
I due volumi qui proposti, pubblicati a breve distanza uno dall’altro, offrono spunti e letture sulle elezioni politiche dello scorso settembre, ma prendono in esame anche i principali temi della politica italiana. Due utili strumenti di lavoro non solo per studiosi, giornalisti o civil servants, ma anche per tutti coloro che cercano chiavi interpretative per comprendere la politica italiana. Certo magari non si tratta di letture da spiaggia, ma le vacanze sono anche occasione per leggere testi che altrimenti non si leggerebbero.
(Carlo Muzzi, vicecaporedattore e caposervizio redazione Interni ed Esteri)
«Solidarietà»
di Alessandro Volpe
(Carocci, 2023, pp. 128, euro 13,30)
Ogni volta che si piomba in una situazione di emergenza viene fatto appello alla solidarietà. Eppure l’idea di solidarietà è spesso ostaggio di una cattiva retorica che rende il suo richiamo innocuo e generico. Con questa consapevolezza Alessandro Volpe, ricercatore in Filosofia morale all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, nel libro che si intitola proprio «Solidarietà» (Carocci editore, 14 euro), ripercorre la storia del concetto che trae origine, a livello lessicale, nel mondo giuridico latino, in particolare dalla formula «obligatio in solidum», che si contrappone alla «obligatio pro parte»: «Sin dall’inizio, il termine indicava dunque una responsabilità condivisa tra soggetti facenti parte di una comunità ristretta o allargata spesso di tipo familiare o commerciale, naturale o artificiale».
Il termine «solidus», d’altronde, indica qualcosa di intero, compatto, denso, unito. Volpe accompagna passo dopo passo nelle principali tappe storico-filosofiche del concetto fino a giungere alla definizione di solidarietà come «relazione simmetrica di mutuo soccorso e condivisione del rischio basata sul riconoscimento di una causa comune». Da qui emerge chiaramente la differenza con l’idea e la pratica della carità, con la quale non di rado si fa confusione. Se infatti la carità è «un rapporto essenzialmente unilaterale», la solidarietà è invece «il prodotto della volontà di due o più soggetti». Non solo: non meno fondamentale è la «differente condizione di partenza e di status sociale che sussisterebbe tra chi aiuta e chi riceve l’aiuto nella carità». Anche nel cristianesimo sociale, sottolinea l’autore in una apposita sezione, la solidarietà si è fatta sempre più strada: il primo esplicito impiego del termine da parte del Vaticano «ha avuto probabilmente luogo con l’enciclica “Rerum Novarum” (1891) di papa Leone XIII». Esattamente un secolo dopo, nella sua enciclica «Centesimus Annus», Giovanni Paolo II vedeva proprio nell’idea di amicizia elaborata nella Rerum Novarum il precursore del concetto cattolico di solidarietà, sfociato in quella che Paolo VI chiamava «civiltà dell’amore». Il testo di Volpe si misura infine con le sfide e i problemi che riguardano la solidarietà europea e le prospettive di mutuo soccorso su scala globale, cosa che rende il volume quanto mai attuale.
(Marco Tedoldi, redazione Cronaca e Provincia)
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