Cultura

Paolo VI, un Papa vicino all'uomo e alla sua solitudine

«Paolo VI, un Papa nella tempesta» era il titolo della serata in Cattolica con Giacomo Scanzi, Giuliano Ferrara e Graziano Tarantini.
"Paolo VI, un Papa nella tempesta"
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Un Papa dalle solide certezze, ben diverso dall’immagine di uomo del dubbio accreditata da una lettura superficiale della sua opera. Un Pontefice che per tutta la vita, da giovane sacerdote a successore di Pietro, ha offerto sostegno all’uomo moderno, immerso nel dramma della disperazione e della solitudine. Una personalità straordinaria e raffinata, dal punto di vista spirituale e intellettuale.

«Paolo VI, un Papa nella tempesta» era il titolo della serata promossa ieri dalla Fondazione San Benedetto per delineare la figura di Giovan Battista Montini, che sarà beatificato il 19 ottobre. Aula magna della Cattolica strapiena per ascoltare gli interventi di Giacomo Scanzi, direttore del Giornale di Brescia e autore della biografia «Paolo VI, fedele a Dio, fedele all’uomo» (edizioni Studium), e di Giuliano Ferrara, direttore del Foglio. Introduzione di Graziano Tarantini, presidente della San Benedetto, interessata a sviluppare il tema della religiosità, ponendo alla base la necessità «di interrogarsi sull’essenzialità delle cose della vita», anche attraverso il confronto con personalità provenienti da altre culture. Come Ferrara, appunto. Prima del dibattito, sul maxischermo sono passate le immagini di Paolo VI in un documentario Rai, con quelle parole di Montini rivolte alla folla: «Amate il Papa», perché la gerarchia è indispensabile alla vita della Chiesa, ma il Pontefice è fatto per servire, non per comandare. Per aiutare i suoi fratelli avvolti nel dramma della modernità.

«In Montini - ha affermato Scanzi - si registra una unità di pensiero straordinaria, dall’inizio alla fine. Negli scritti giovanili c’è già Paolo VI». In filigrana appare quella che Scanzi ha chiamato «la poetica della modernità». Il processo di secolarizzazione ha convinto l’uomo a privarsi di Dio, perfino i credenti hanno ridotto la fede a norme morali e comportamenti esteriori che placano la coscienza. Montini si muove in un contesto «in cui la pratica della modernità è il teatro dell’uomo che sperimenta solitudine e disperazione». La Chiesa deve sfuggire all’abbraccio modernista e alla condanna antimoderna: deve invece camminare insieme a quest’uomo, ascoltare il suo dramma, «offrendo amicizia e compagnia». Tutto il percorso umano, spirituale, pastorale di Montini è ispirato a questa necessità. Dalla formazione all’Oratorio della Pace al sacerdozio, dall’impegno nella Fuci per i giovani universitari all’esperienza diplomatica, dalla Cattedra di S. Ambrogio a quella di Pietro. Scanzi ha citato il messaggio del Vescovo di Milano ai Fratelli lontani: «Se non vi abbiamo compreso (...), se non siamo stati bravi maestri di spirito e medici delle anime, se non siamo stati capaci di parlarvi di Dio come si doveva (...), oggi vi chiediamo perdono. Ma ascoltateci».

Richiamando il titolo della serata, il direttore del Giornale di Brescia ha ricordato che, in realtà, «Montini vide soltanto i primi soffi della tempesta: nella bufera ci siamo noi oggi». Ha sottolineato «il grande amore per l’uomo provato per tutta la vita, fino a gridare quel suo appello: "Uomini, siate uomini"». Fondamentale per comprendere fino in fondo la grande enciclica montiniana, l’«Humanae Vitae» , in cui «raccomanda all’uomo di essere tale attraverso l’esperienza dell’amore». Paolo VI vide quello che sarebbe diventato un tema oggi dirompente: «L’invasione della tecnica nell’amore. Con l’Humanae Vitae Papa Montini pose una domanda fondamentale: dove radica la felicità dell’uomo?».

Giuliano Ferrara ha dapprima offerto un ricordo personale: «Vidi diverse volte Paolo VI in pubblico a Roma, l’ultima volta alla messa di Natale del 1977. Era gracile, un soffio di umanità senza materia». Una figura che affascinava «noi comunisti, rispettosi e attratti dalla Chiesa come istituzione». Di Paolo VI «mi colpiva la sofferenza nel contatto con la Chiesa e il mondo, una sofferenza di origine spiritualmente e intellettualmente straordinaria». Montini appariva uomo del dubbio solo nella percezione: «In realtà era un Papa di sublime certezza». Come dimostrò alla fine del Concilio, «quando volle confermare il primato di Pietro sulla Chiesa». Oppure quando «disse un no carico di amore e dottrina al divorzio e alla contraccezione in quel documento straordinario che è l’enciclica Humanae Vitae». In esso «Paolo VI aveva giù intuito il ruolo che avrebbero assunto la scienza e la tecnica nella procreazione, previde l’arrivo dell’eugenetica». Fu criticato aspramente «per quelle che furono considerate delle chiusure: ma come disse l’allora cardinale Ratzinger in un’omelia per la morte di Paolo VI, egli resistette alla telecrazia e alla demoscopia». Perché un Papa che «piace a tutti non fa bene il suo mestiere».

Certo, a determinare il ricordo di Montini come Papa triste, ha sottolineato Ferrara, c’è anche l’ultima, drammatica fase della sua vita, quella che coincise con il caso Moro. La struggente preghiera del Papa, il 13 maggio 1978, al funerale senza il corpo dello statista:«Tu, Signore, non hai esaudito la nostra supplica per l’incolumità di Aldo Moro». Un momento che «pietrifica un’immagine» sbagliata dell’uomo. Oggi, davanti alla Chiesa di Papa Francesco, si ripropone «in maniera ancora più pressante un tema caro a Montini, l’unità della famiglia: se allora si poteva parlare di istituzione in crisi, adesso siamo quasi alla dissoluzione. Ma la Chiesa non può affrontare il mondo opponendogli solo lo scudo della dottrina».

Enrico Mirani

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