Paolo Nutini soul e funk: riletture che emozionano
Il piacere di fare soul con calma, per bene e con parecchio di stile. Di saperne inserire le strutture nella penombra di atmosfere sospese e noir. Di colorarne i contenuti con tenui pastelli di modernità. Paolo Nutini deve essersi divertito a registrare questo «Caustic Love», terzo lavoro da studio di una carriera iniziata nel 2006 con «These Streets» e proseguita con «Sunny Side Up», risalente a ormai cinque anni fa. Il cantautore scozzese d’origine italiana ha maturato l’«amore caustico» in un lustro, processando le atmosfere sondate con le precedenti uscite e virando ancora più convinto verso gli States. Creando un prodotto vintage e di classe, molto composito. Un disco - registrato tra Londra, Glasgow, Valencia e gli States - in cui rilegge con parole e idee nuove la lezione di Stax e Motown, del funk e dei ritmi sincopati.
L’avvio è affidato al singolo «Scream (Funk Up My Life)». Anni Sessanta in ogni battuta, in ogni soffio di fiati - che abbracciano gran parte del disco -, nella brillantezza delle dosatissime chitarre. Il suono è reso attuale attraverso inserti sintetici, come paillettes impigliate nel morbido tessuto di una giacca ritrovata in un armadio.
Gli abissi del sentimento, trascinati tra arpeggi ed echi, implodono struggenti in «Let Me Down Easy», in cui affiora un sample di Bettye Lavette, tra i numi tutelari dell’album. La voce di Nutini piange ancora dolce eppure graffiante su «One Day», ballata di oltre cinque minuti tra soft-rock e soul, brano che trova linfa anche in una riuscita apertura orchestrale nel finale. Un pezzo che sarebbe stato bello ascoltare con la voce di Amy Winehouse. La chitarra saltella e balbetta, dialogando piacevolmente con i fiati nella placida «Numpty», filastrocca soul sul crescere... con calma, con lei che chiede l’anello e un figlio, e lui a controbattere: per ora cerco di tenere la testa sopra il pelo dell’acqua. Concettualmente, la risposta d’amore adulto («quella ragazza mi fa venir voglia d’esser migliore») arriva subito dopo, in «Better Man». Siamo nel cuore del disco. Piano e basso ieratici introducono «Iron Sky» fino alle schiarite dei fiati e all’intermezzo con uno stralcio da «Il Grande Dittatore» di Charlie Chaplin. È forse la vera gemma dell’lp e vale una candidatura a diventare il nuovo Joe Cocker o il nuovo Rod Stewart.
Dopo una «Diana» d’atmosfera - falsetti e le chitarre languide ad accarezzare i vuoti con bending e delay - ecco il duetto con Janelle Monáe su «Fashion», uno degli episodi più scanzonati del lotto, capace di piroettare repentino dal soul r’n’b al rap della cantante di Kansas City. Tris finale. Il brio di «Looking For Something», in cui una voce emozionante torna protagonista. L’intenzione di «Cherry Blossom» ricorda il Kelly Jones (Stereophonics) più americano. Due minuti e nove secondi con un coro gosel, il basso sullo sfondo e una semplice melodia: è «Someone Like You», che chiude un disco davvero bello.
Daniele Ardenghi
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