Pagani: torno alle radici, con orizzonte il mondo
Sarà un po' come dischiudere il cassetto dei sogni, quelli realizzati e quelli che si sono dovuto archiviare, che qui, nel suo paese natale, si esprimono però rigorosamente «in dialetto». Una lingua che, normalmente, un artista «senza confini» qual è, Mauro Pagani non ha quasi mai occasione di parlare. Il musicista clarense - già nella Premiata Forneria Marconi e poi a fianco di De André, oltre che di Gianna Nannini, Massimo Ranieri, Ornella Vanoni, nonchè autore di mille musiche e progetti ... - ammette la desuetudine alla parlata clarense, ma scommette che essa «si inserirà in automatico» non appena metterà piede nel territorio che gli ha dato i natali e che rappresenta le sue radici profonde.
Sarà così di sicuro questa sera nel palazzetto dello sport di via Lancini (ingresso libero), quando sarà in concerto per celebrare in musica, nell'ambito del Palio delle Quadre, il 150° anniversario dell'assegnazione a Chiari del titolo di «città». Il concerto era inizialmente previsto in piazza Zanardelli, ma il maltempo ha convinto gli organizzatori a spostare l'evento al coperto.
Che effetto fa tornare a Chiari?
Mi è inevitabile pensare come tutto sia nato lì, a partire dallo studio del violino, con Lodovico Chiari, ai sogni, stemperati nelle sere di nebbia - che ora non ci sono più - mentre noi vagavamo per il paese a tarda notte, immaginando il futuro. Tornerò parlando in dialetto: quando ero bambino era punto d'onore esprimersi così, se avessimo parlato tra noi in italiano saremmo stati degli... alieni.
Che tipo di concerto proporrà?
Spazierò nella mia carriera, dalla Pfm a De André, passando per i lavori da solista. Mi presenterò con un ospite, il musicista senegalese Badara Sekh: è un «griot», vale a dire un musicista per discendenza. In Senegal funziona così: se nasci da una famiglia di musicisti, fai il musicista. E la sua famiglia fa musica dal 1300, in pratica è un'enciclopedia vivente, depositario della ricchezza famigliare trasmessa per via orale. Una sorta di aedo contemporaneo. Principalmente è un cantante, ma suonerà pure le percussioni. È dotatissimo.
È appena tornato da «La Notte della Taranta» a Galatina, per un concerto omaggio a Piero Milesi. Com'è andata? Benissimo, c'era un sacco di gente, anche musicisti da Milano come Mario Arcari e Maurizio Dehò, con cui facevamo parte, insieme a Moni Ovadia alla voce, del Gruppo Folk Internazionale. È stata un'esperienza fondamentale, per me che venivo dal rock, in termini di formazione musicale «etnica», orientata alla musica balcanica.
Qual è il ricordo che ha di Milesi?
Era una persona di enorme talento. E riflessivo, nel senso che quando doveva mettersi a lavorare prima ci doveva pensare, quasi pigro. Al contrario di me che agisco d'impulso finché la vita non mi ricorda che bisogna anche fermarsi a pensare. Un uomo altamente partecipe. L'avevo presentato io a De André: aveva arrangiato gli archi del brano «Ottocento», lui che aveva studiato al conservatorio, e da lì era stato esecutore e produttore di «Anime Salve». Avevo fatto il suo nome pure per la 2.a edizione de «La Notte della Taranta», fu scelto come maestro concertatore.
Oggi dove va la musica?
Sta cambiando perché cambiano i contenuti della società. Ma la musica è la seconda lingua di ogni civiltà, e dovrebbe essere pertanto la scuola, di ogni livello, a insegnarla. Ci stiamo perdendo: i giovani non sognano più. La musica per noi era un sogno, i ragazzi di oggi invece vogliono il successo e vedono la musica come un mero mezzo per raggiungerlo. Complici quelle macchine illusorie che sono i talent-show.
Quali sono i suoi progetti imminenti?
A breve uscirà un nuovo episodio discografico del percorso di rivisitazione della musica napoletana, all'interno della collana curata da me e Massimo Ranieri; dopo anni di gestazione del progetto, alla fine, usciremo con un cd doppio. Sto inoltre lavorando al mio nuovo album, che vedrà verosimilmente la luce la prossima primavera. È un disco che sintetizzerà quanto ho maturato muovendomi tra l'Italia e New York. Devo confessare che avevo proprio bisogno di una boccata d'ossigeno: a volte fa bene cambiare prospettiva per non fossilizzarsi su un unico punto di osservazione.
Raffaella Mora
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