Omar: sei canzoni, trenta minuti, un grande ritorno
La voce è forte, Pedrini canta cinque brani suoi e una cover di Neil Young. E poco prima di salire sul palco...
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AA
Hey hey, my my. Rock’n’roll can never die. Sei canzoni per mezz’ora abbondante di show acustico, 43 giorni dopo l’operazione al cuore durata dieci ore. Omar Pedrini, parecchio emozionato, è tornato sul palco mercoledì al Basement di Milano, per una festa targata Rolling Stone e Police (marchio di gioielli e orologi). Tutto è andato per il verso giusto. Nulla è mancato. Nemmeno... un piccolo giallo.
Pedrini ha cantato con voce forte e sicura, suonato la chitarra acustica e pure l’armonica, non lesinando fiato. Con lui una band di quattro elementi. Omar indossava una giacca scura e una camicia a tema floreale aperta sul petto. Quel petto che scherma un cuore in perenne lotta. Appesa al collo, una croce.
Lo show è iniziato verso le 22.30. Sei, si diceva, i pezzi eseguiti. «Veronica» e «Nina» da «Che ci vado a fare a Londra?». Poi «1971 (Live In Amsterdam)» da «El Topo Grand Hotel» dei Timoria. Quindi la title-track dell’ultimo album, l’immancabile «Sole spento» (sempre da «El Topo...») e, in chiusura, la cover di «Hey Hey, My My» di Neil Young.
Tra il pubblico c’erano amici e fan da Roma, Viterbo, Udine... Tutti lì per Omar. La cui performance, in realtà, è stata in forse quasi fino all’ultimo.
Lo Zio Rock, infatti, è arrivato al Basement attorno alle 21. Ha dovuto dedicarsi ad una serie di interviste e stringere dozzine di mani. Gesti che impegnano la voce, un fisico e una mente che, per forza di cose, sarebbero in realtà costretti a rilasciare ogni genere d’energia in modo graduale. Di qui un pizzico di titubanza prima di salire sul palco. L’idea di far suonare soltanto la sua band è stata però scacciata subito dalla voglia - troppo forte - di tornare davanti a un microfono. È successo, finalmente, attorno alle 22.30. «Veronica» è filata via alla grande, il resto è venuto di conseguenza.
Dopo il breve show Omar ha salutato tutti, ha lasciato la festa ed è andato a riposarsi. Per mezzanotte la sua band aveva finito di caricare il furgone. Hey hey, my my, rock’n’roll can never die.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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