Una contessa uccisa nel nono capitolo della saga del Brigadiere

Il cadavere di una contessa lasciato in un puzzolente vicolo del Carmine. Violentata e uccisa. Un delitto da tenere segreto perché l’Era fascista non può ammettere crimini sotto il suo cielo... Wanda Osiris incanta il pubblico sul palco del Teatro Sociale, appena tirato a nuovo, col suo incedere ammiccante. Al Cinema Crocera, sul corso, Marlene Dietrich e Gary Cooper dispensano sogni melensi con «Desiderio». Sotto i portici, Vigasio espone l’ultimo modello del grammofono Excelsius con i dischi di «Violino tzigano» e «Signora fortuna». Tadini & Verza a chi acquista un abito confezionato su misura regalano una zuppiera e due piatti ovali. Vestito per il signore, stoviglie per la signora. Per le strade strombazzano le Balilla. Brescia cerca un nuovo aplomb ora che il ventre affollato e dolente delle Pescherie è stato spazzato via per lasciare posto alla piazza squadrata e all’arengario. La statua gigante del Bigio suscita battute per le chiappe di marmo. Visioni di Vittoria, aperitivi d’Impero.

Fra il 1935 e il ’36 è ambientato «Il Brigadiere del Carmine e l’oro della Patria» (Liberedizioni, 230 pp., 18 euro), nono episodio della serie creata da Enrico Mirani. Il romanzo sarà presentato a Gavardo venerdì 2 maggio, alle 17,30, alla rassegna «Un ponte di libri».
Il Brigadiere, nella sua ormai trentennale carriera, ci ha accompagnati per tutta la prima parte della storia novecentesca bresciana, dal Circuito aereo della Fascia d’oro alla Grande guerra, dalla faticosa ripresa agli inizi del Ventennio in orbace... «Brescia nel 1935 – spiega Mirani – vive nel grigiore di un’uniformità politica e sociale ossessivamente dominata dal regime. Se il capo chiama tutti rispondono, se squilla la tromba tutti accorrono. La fonte storica del romanzo anche stavolta è costituita dalla stampa del tempo, ma il regime ha tappato la bocca ai tre quotidiani dell’epoca liberale, c’è solo "Il Popolo di Brescia", megafono del partito. Il regime è al suo apice e non ammette sbandamenti. La città cresce e cambia, con fabbriche, negozi, cinema, teatri, ma tutto è rigidamente sotto controllo».
La trama
Il 2 ottobre 1935 anche Brescia è mobilitata: tutti intruppati per ascoltare il messaggio di Mussolini alla nazione. L’Italia vuole «un posto al sole» per le sue pretese imperiali e lancia la Campagna d’Etiopia. La piazza s’infiamma, ma servono fondi che l’Italietta non ha. Quelli sono gli anni delle «inique sanzioni» imposte dalla Gran Bretagna, dell’autarchia che regola persino i menù delle trattorie, dei volontari che partono per l’Abissinia, dei giornali che parlano di vittorie eclatanti mentre i postini ogni giorno recapitano annunci di morte ai familiari dei caduti. Per finanziare la guerra viene lanciato l’appello dell’oro alla patria: mogli e mamme accorrono a donare le fedi nuziali in cambio di cerchietti di ferro. Tolgono i gioielli persino alle statue delle Madonne. Su questa scena ritroviamo Francesco Setti.
Il brigadiere è sulla soglia dei sessant’anni, sconsolato per quel che vede, mentre si avvicina la pensione e Caterina, la sua compagna e padrona della trattoria «Il Pappagallo d’oro», gli ha posto una questione spinosa: «Se ci sposassimo?».
Enrico Mirani non ha dato una sequenza cronologica ai romanzi del suo brigadiere, tuttavia lo colloca sempre nel tempo, con l’atteggiamento che inevitabilmente accompagna l’età.
Disincantato ma non cinico, disilluso ma non disposto ad accettare qualsiasi cosa, Francesco Setti viene chiamato ad indagare, assieme all’appuntato Silvieri e all’immancabile Serafini, fidato amico anche se promosso maresciallo. E con un giovane commissario di polizia, che gli diventa presto simpatico.
Due i casi
Il primo è l’omicidio della contessa Bruna del Lago, vivace moglie d’un industriale trovata uccisa in un vicolo del Carmine. Il secondo riguarda un audace colpo: i banditi hanno rubato l’oro della Patria. «Rapina inventata... – spiega Mirani –. Chissà! Se anche fosse avvenuta i giornali non avrebbero potuto certo raccontarla».
Giornalista, scrittore e storico, narratore piacevole, Enrico Mirani intreccia la trama del giallo, ricca di suggestioni e colpi di scena, alla vita della città. Il suo brigadiere entra nelle ville signorili e nelle stanze misere dei poveracci, nei palazzi del governo e della milizia fascista, nei caffè alla moda e nelle osterie, nelle caserme e nelle chiese. Così come sa entrare con empatia nell’animo delle persone. Coglie speranze e delusioni, brame di ricchezza e potere, passioni e gelosie, desideri di rivalsa e voglia di giustizia. Anche se alla fine, per sé spera solo in un po’ di consolazione, nel conforto d’un affetto.
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