Cultura

Non scherziamo con il Rinascimento

A proposito della fiction su Rai1 «Leonardo»: grandi ascolti ma...
Aidan Turner in «Leonardo»
Aidan Turner in «Leonardo»
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L’ipotetico Manuale del bravo sceneggiatore di fiction su un personaggio realmente esistito insegna: «Inventate uno spunto intrigante, appiccicatelo al protagonista e costruiteci intorno». La fedeltà culturale? Pazienza!

È ciò che fa «Leonardo», che martedi ha debuttato su Rai1 con grandi ascolti (7 milioni di spettatori e share 28%) proponendosi in duplice chiave: il "giallo" e il "caso umano". La prima poggia su un Da Vinci sospettato della morte della modella (inventata) Caterina da Cremona (Matilda De Angelis); la seconda, sull’essere figlio bastardo d’un notaio anafettivo, e segnato da maleficio manifestatosi con un rapace che si posa sulla culla e una maga lo definisce "maledetto".

Ne deriva che nella fiction Leonardo pare un poveraccio che ha tanta arte, ma nessuna parte (accettabile) nel ben vivere. Tanto che il volto di Aidan Turner (già nel long-serial in costume «Poldark» su LaEffe) s’atteggia in espressione più beota che drammatica o artisticamente volitiva, quasi fosse un complessato che gira per l’Italia quattrocentesca senza ben sapere che cosa fare e perché.

Un "caso umano", appunto, da Manuale, ma lungi da approccio filologico serio sulla dimensione del Genio. È accettabile dal vademecum delle fiction hollywoodiane, ma più feuilleton, soap-opera, fotoromanzo di così (scelga il lettore quale analogia stracult popolare utilizzare) si muore. Del resto va così (vedi il precedente «I Medici», stessi produttori e sceneggiatori, finito in un cappa&spada) quando, in un guazzabuglio di culture e stili narrativo-televisivi, si mette su co-produzione american-britan-italo-franco-spagnola. Lux Vide e Rai Fiction si difendono: «Facciamo fiction, non documentari». Sì, ma almeno con giudizio: Baz Luhrmann ipermodernizzando il Bardo, non a caso titolò prudentemente «Romeo+Juliet» la "sua" tragedia shakespeariana.

C’è invece una superficialità pop nella scapigliata inventiva anglosassone degli sceneggiatori di «Leonardo», Frank Spotnitz e Steve Thompson (si parte dalla modella cremonese e si continuerà col reale dipinto perduto «Leda col cigno» comprovato da schizzi di studio, uno dei quali è al Castello Sforzesco) che andava imbrigliata spiegando loro che trattavasi d’un gigante della Storia e che ridurlo a un nesci complessato in una crime-story, non era lecito.

Stravolgere la Storia (facendo esplodere Hitler e i suoi gerarchi in «Bastardi senza gloria») è concesso a geni come Quentin Tarantino; altri non scherzino col Rinascimento (quello italiano, non il saudita di Renzi...). Speriamo un giorno di veder chiamati a lavorare insieme Piero (o Alberto) Angela e Sorrentino o Tornatore e ottenerne fiction storica spettacolare sì, ma consapevole di dover essere accettabile in profilo culturale. Fino ad allora aspettiamoci tremebondi un... «Leonardo contro Godzilla» o «Sherlock Holmes e il caso-Leonardo».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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