Cultura

Neve e uncinetto: al Teatro Grande la danza di Adriano Bolognino

Giulia Camilla Bassi
Una «nevicata di corpi in movimento che scuote e calma» andrà in scena nel teatro di Brescia l’11 dicembre: l’intervista al coreografo
Adriano Bolognino, Come neve - Foto Roberto De Biasio/Sabrina Cirillo
Adriano Bolognino, Come neve - Foto Roberto De Biasio/Sabrina Cirillo
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In scena l’11 dicembre in doppia replica al Teatro Grande, nell’alveo della Serata Danza che raccoglierà tre performance di danza contemporanea, negli spazi del Ridotto si potrà assistere a «Come neve» (alle 19.30 o alle 21), l’ultimo lavoro di Adriano Bolognino, nome tra i più interessanti sulla scena performativa italiana e internazionale.

Uno spettacolo delicato, che intreccia i movimenti del corpo alla leggenda della nascita della tecnica del ricamo a uncinetto: una donna – tanto tempo fa, in un paesino lontano lontano stretto nel rigido inverno bavarese – affascinata dal lento volteggiare dei fiochi di neve fuori dalla sua finestra, cercò di riprodurne l’intricato disegno con un filo di lana e un grosso ago ricurvo. Una suggestione favolistica, portata in scena dalle danzatrici Rosaria Di Maro e Noemi Caricchia, interamente vestite con abiti ricamati seguendo questa antica tecnica.

I biglietti sono disponibili (intero 11,60 euro, ridotto studenti 6,60 euro) in biglietteria e online. Con l’acquisto del Carnet Serata Danza sarà possibile assistere a tutti e tre gli spettacoli della serata a prezzo ridotto: si tratta di «Bagliore n.2» di Marta Ciappina e Salvo Lombardo (in doppia replica alle 19.00 e alle 21.30 nel Salone delle Scenografie) e di «Bodies on Glass» del bresciano Diego Tortelli e Andrea Rebaudengo (alle 20.00 in unica replica nella Sala Palcoscenico Borsoni).

Abbiamo intervistato Adriano Bolognino.

Adriano, come nasce il duetto e cosa vedremo in scena?

«Come neve» nasce durante la pandemia, commissionato da un museo norvegese che, in collaborazione con Orsolina2 Art Foundation, l’Istituto di Cultura e l’Ambasciata Italiana ad Oslo, mi ha proposto di interrogarmi su cosa sia il benessere e come relazionarlo alla danza che creo. Ho cercato di combinare diversi elementi che potessero racchiudere questa sensazione, coinvolgendo un gruppo donne che cercavano di trovare una nuova luce in un momento di buio totale. Una nevicata di corpi in movimento che scuote e calma. Una performance che coinvolge insieme l’arte dell'artigianato e l’immensa bellezza di un fenomeno naturale. Confronto e condivisione. Una scintilla di benessere dopo difficoltà estenuanti e intricate. Volevo qualcosa che potesse far pensare a un rituale continuo, bloccato in un tempo altrove. Per poi arrivare ad una liberazione totale, più dolce, dopo tutta la tensione accumulata.

Un momento della performance - Foto Roberto De Biasio/Sabrina Cirillo
Un momento della performance - Foto Roberto De Biasio/Sabrina Cirillo

I costumi, interamente ricamati all’uncinetto, giocano un ruolo significativo nella performance. Qual è il loro significato simbolico?

Si dice che la tecnica dell'uncinetto sia nata da una donna che, osservando i fiocchi di neve cadere al suolo dalla finestra, ne volle riprodurre la magia utilizzando un filo di lana e un grosso ago ricurvo. Il lavoro – come ho detto commissionato in Norvegia – mi ha spinto a ricreare un’atmosfera che potesse richiamare i colori e le tradizioni dei popoli del Nord Europa. In particolare, la mia compagna, danzatrice e assistente Rosaria Di Maro ha disegnato il costume insieme al Club dell’Uncinetto, venutosi a creare a Napoli durante la pandemia. Simbolo per diversi riferimenti e sensazioni esplorate con loro in quel periodo così buio. Volevamo ricreare un ambiente caldo che potessero racchiudere una simbologia di tepore, rifugio e allo stesso tempo di scudo ma anche di costrizione.

I costumi della performance, all'uncinetto - Foto Roberto De Biasio/Sabrina Cirillo
I costumi della performance, all'uncinetto - Foto Roberto De Biasio/Sabrina Cirillo

Cosa vuol dire per lei fare danza oggi in Italia?

La danza è assolutamente il mio modo di vivere la vita. La scelgo ogni giorno, con tutti i pro e soprattutto i contro che porta con sé fare quest’arte. In Italia sappiamo che fare arte non sempre è semplice, ci si deve scontrare con tante criticità. Che siano economiche, di opportunità, di tempo. Ma mi ritengo allo stesso modo molto fortunato nell’aver perseverato seguendo il cammino di quello che era – ed è tuttora – il mio sogno, che mi ha regalato tante emozioni e vittorie, ma anche sconfitte da cui ho imparato e imparo per migliorarmi. Fare danza oggi significa affermare un’idea, che sia sociale, poetica o politica. Ma significa anche dare speranza o dei momenti per i quali emozionarsi o riflettere a un pubblico che a volte sembra così distante o afflitto dal quotidiano.

Quali sono i suoi progetti futuri?

In questi anni ho creato davvero molto e spero di poter vedere tutti i lavori terminati avere più spazio e più possibilità di andare in scena. Ho un grande progetto in mente ma vorrei definirlo nel 2026. Per il 2025 mi piacerebbe appunto vedere in scena le creazioni fatte e sperimentare su pièce brevi. In questo momento della mia carriera sento il bisogno di far conoscere maggiormente il mio lavoro fuori dall’Italia (che mi ha dato tanto) e quindi vivo ogni opportunità all'estero con immensa gratitudine. Spero di creare di più per compagnie ed organici che siano in Italia o all’estero, perché sento di dare il mio meglio in quei contesti e di poter così far crescere il mio lavoro e la mia visione artistica.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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