Nando Dalla Chiesa: a Brescia la presentazione del libro «Le ribelli»
La prima è Francesca Serio, madre del sindacalista siciliano Salvatore Carnevale, ucciso il 16 maggio 1955. L’ultima è Lea Garofalo, assassinata a Milano il 24 novembre 2009 dopo aver lasciato e denunciato il compagno affiliato alla ’ndrangheta; la giovane figlia Denise denunciò a sua volta, testimoniando contro il padre. Sono due delle sette storie di «donne che hanno sfidato la mafia per amore» raccontate da Nando Dalla Chiesa nel libro «Le ribelli», uscito per la prima volta nel 2006 e ora riproposto da Solferino con i testi rivisti e l’aggiunta della storia di Lea e Denise Garofalo. L’autore ne parlerà domenica 22 settembre alle 18 a Brescia, nell’auditorium San Barnaba, invitato al festival LeXGiornate dal direttore artistico Daniele Alberti, in un incontro organizzato in partnership con il Consiglio Notarile di Brescia.
Docente all’Università degli studi di Milano, figlio del generale Carlo Alberto ucciso a Palermo nel 1982, Nando Dalla Chiesa si dice convinto che «l’asse di scorrimento della lotta alla mafia sembra passare oggi come non mai per l’evoluzione della cultura femminile e la sua inedita capacità di rompere schemi e ordini mentali partendo dalla sfera dei sentimenti».
Professor Dalla Chiesa, cosa è cambiato dal 2006?
È tutto cambiato: le storie sono le stesse, ma l’atmosfera in cui si inseriscono è diversa. Decisivo fu il contributo di Rita Borsellino, con la sua candidatura alla presidenza della Regione Sicilia nel 2006: abbiamo capito che un mondo femminile si riconosceva in lei non soltanto come sorella del giudice Paolo Borsellino, ma in quanto donna siciliana. La vicenda di Lea Garofalo ha poi prodotto a Milano uno straordinario movimento di coscienze, guidato soprattutto da studentesse.
L’impegno antimafia delle donne si è fatto più visibile?
Nel mio corso di Sociologia della criminalità organizzata la presenza delle donne è schiacciante rispetto a quella maschile. Dal 2008 sono presidente onorario di Libera, la più importante associazione antimafia della storia italiana, e anche lì ho registrato questa forte presenza femminile. Ho visto moltiplicarsi le magistrate impegnate contro la mafia. Anche il recente movimento contro la cultura patriarcale è in realtà una ribellione contro la cultura mafiosa, la più maschilista di tutte.
Racconta storie di «ribelli» imparentate sia con chi combatteva la mafia, sia con chi aderiva ad essa. Cosa le accomuna?
La voglia di libertà: di fronte al sopruso mafioso che uccide un mio caro e crede di avere diritto all’impunità; o di fronte a una violenza che mi colpisce perché si pensa che, facendo parte della mafia, io debba obbedire a tutte le sue regole. Nelle organizzazioni mafiose il rifiuto di questa visione totalitaria passa per gli spiriti meno assoggettabili. Come Felicia Impastato (madre di Peppino, ucciso l’8 maggio 1978, ndr.) o Rita Atria (sorella di Nicola, ucciso nel 1991, ndr.), divenuta testimone di giustizia a 17 anni dopo l’incontro con Paolo Borsellino.
Molte seppero resistere chiedendo giustizia per anni…
Sì, una vera resistenza. La maggior parte di loro non ha ottenuto giustizia, ma l’hanno avuta dal punto di vista storico. A Carlo Levi, che raccontò in «Le parole sono pietre» la storia di suo figlio, Francesca Serio disse: lei deve darmi giustizia, deve far passare Salvatore alla storia. Una donna con solo la quarta elementare conferiva alla storia un valore superiore a quello dei tribunali. E Saveria Antiochia (madre del poliziotto Roberto Antiochia, ucciso col commissario Ninni Cassarà il 6 agosto 1985, ndr.) il suo successo l’ha ottenuto promuovendo con Libera la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie, divenuta legge dello Stato nel 2017.
Di mafia oggi si parla poco. La sua forza è diminuita o ci siamo distratti?
La forza di Cosa nostra è diminuita. Quella della ’ndrangheta è cresciuta, ma ha cominciato a trovare un contrasto che prima nel Nord Italia non subiva.
Qui per la ’ndrangheta è stata una scampagnata per decenni, nonostante la magistratura milanese abbia inflitto molte condanne. C’è voluto tempo per capirlo.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@Buongiorno Brescia
La newsletter del mattino, per iniziare la giornata sapendo che aria tira in città, provincia e non solo.