Vecchioni è infinito e strappa l’ovazione del Teatro Clerici
Infinito Vecchioni, tra libri e donne, liriche e «magoni» rientrati, magistrati e artisti «inutili», mamme e maestre, palchi e cattedre, macellai «con una cultura» ed emozioni.
A 81 anni suonati il Professore sfoggia l’inconfondibile voce profonda e catramata (solo un po’ graffiata dal tempo), la stessa gestualità espressionista di sempre, l’affabulazione appassionata, una voglia di poesia inesausta come sete non appagata. Con sonorità calde e modalità intima, Roberto Vecchioni propone una scaletta coerente alla sua lunga storia d’amore con la vita e con l’essere uomo (per cui, come voleva Terenzio, «humani nihil a me alienum puto»). E davanti alle 2.000 persone di un Teatro Clerici tutto pieno, si mostra a proprio agio come se fosse nel salotto di casa, magari perché una casa da queste parti (a Barcuzzi) ce l’ha davvero.
Lo spettacolo
Si prende applausi convinti già quando avvia il concerto con «Il lanciatore di coltelli», esplicitando l’idea della trasmissione del sapere di padre in figlio, di nonno in nipote; quindi li incassa citando Hikmet («Il più bello dei mari…») e mettendo in fila «Ti insegnerò a volare», «Ogni canzone d’amore», «La mia ragazza», mentre con la splendida «Vincent» (sull’amicizia tra Van Gogh e Gauguin) prima, e con la struggente «El bandolero stanco» poi, strappa l’ovazione.
Scorrono anche «Voglio una donna» ed estratti «da un angolino di nostalgia» riempito (quando c’è solo la chitarra di Massimo Germini ad accompagnarlo) da perle come «Arthur Rimbaud», «La bellezza», «A te». Trovano spazio anche «Le mie ragazze» (al plurale, stavolta), «Sogna, ragazzo, sogna», «Chiamami ancora amore» e, recuperata dall'oblio, «Archeologia». Finale trionfale con la canzone-totem, Luci a San Siro e Samarcanda».
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