Musica

Sanremo 2025, lo show del volemose bene rischia la «sdolcinatura»

Francesco Fredi
Il Festival sempre più uguale a se stesso, ma l’audience lo premia
Carlo Conti e Cristiano Malgioglio - Foto Ansa/Fabio Frustaci © www.giornaledibrescia.it
Carlo Conti e Cristiano Malgioglio - Foto Ansa/Fabio Frustaci © www.giornaledibrescia.it
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Dice bene Jovanotti che martedì all’Ariston in look «goldfinger» ha spiegato: «Il Festival è come Natale, Capodanno, Pasqua, Carnevale: una passione che unisce un Paese intero». Dunque, tutto va bene madama la marchesa. E pretendere dal Festival qualcosa di davvero nuovo è utopia: al più, come nel caso attuale, si tratta di declinazioni, aggiustamenti, non di reali innovazioni.

Ci riuscì - pericolosamente autoironico per la messa laica cantata che scalfiva - giusto Fabio Fazio nel primo dei suoi due. Per il resto, come Natale&C. anche Sanremo va preso per ciò che (nella sua sostanza) d’immutabile è.

Tantopiù che piace com’è, visto che martedì all’esordio ha richiamato una media Total Audience di 12,6 milioni di spettatori pari al 65,3% del totale: 2 milioni in più che nel 2024. Pur se nel fare paragoni oggi, va tenuto conto del nuovo sistema di rilevazione Auditel allargato anche ai non-televisori; tant’è che in proiezione Auditel old style il sito TvBlog ne accredita 11.852.000 e 66,2%. Numeri comunque più che vincenti a parte, l’esordio della kermesse ha sciolto un dubbio che pure era lecito: Carlo Conti, confermatosi conduttore impeccabile, con Clerici e Scotti a (imparagonabile) ricalco del Fiorello incursore amadeusiano, aveva anticipato l’abolizione dei monologhi facendo temere un taglio oculatamente politico.

Carlo Conti tra Antonella Clerici e Gerry Scotti - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Carlo Conti tra Antonella Clerici e Gerry Scotti - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

Ma s’è visto che i temi caldi, emotivi e sociali, saranno trattati proponendo «quadri-siparietti» con artisti o personaggi sotto vigile presenza (siamo in diretta...) del conduttore: da Jovanotti al Papa, da Noa&Mira Awad a Tamberi (invero apparso inopinatamente nel successivo spot Bmw). Oppure buttando lì qualche pillola sparsa dai conduttori: come il ricordo di Frizzi e di Sammy Basso, o il 35° della scarcerazione di Mandela.

È un artifizio, anche risparmioso (big, come in passato Benigni, costano e poi ne scarseggiano di graditi al momento politico...): si punta dunque, anche troppo, sul «volemose bene» appoggiandosi alle invece profonde e sincere parole testamentali di Ezio Bosso sulla vita «che si fa in un solo modo: insieme» impostate in apertura da Conti come mantra-guida. Il rischio sono le sdolcinature e in un momento politico-sociale fosco e cinico come l’attuale c’è il rischio è di scadere nel «più siamo, meglio stiamo» da rimpatriata ristorantizia.

Tecnicamente, al 75° Festival nulla da eccepire: il programma tv (poiché tale è) s’è mostrato ritmatissimo ed esteticamente riuscito. Con scenografia e regia in simbiosi grazie ad ambientazione techno- geometrica (lampadari a parallelepipedo compresi), con 12 fra telecamere fisse, steadycam a braccio e dolly, a fornire inquadrature per stacchi in rapida successione, e privilegiando mezzibusti e primi piani come da manuale del piccolo schermo.

Un Ariston sfolgorante, in stile «X Factor» peraltro citato in più d’una esibizione, con ballerini, coriste e altro a trasformare la canzone in un mini-show. Al dunque, un Festival a norma, senza trasgressioni né stravolgimenti. Ma, si sa, Sanremo è (e resta) Sanremo.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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