Musica

Un appassionato Roberto Vecchioni al Clerici per 1.800 spettatori

Enrico Danesi
Il cantautore milanese ha raccontato in oltre mezzo secolo di parole e note, identificandosi con essi ovvero narrando (anche) di sé attraverso loro
  • Roberto Vecchioni sul palco del Teatro Clerici di Brescia
    Roberto Vecchioni sul palco del Teatro Clerici di Brescia - Foto New Reporter Papetti © www.giornaledibrescia.it
  • Roberto Vecchioni sul palco del Teatro Clerici di Brescia
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  • Roberto Vecchioni sul palco del Teatro Clerici di Brescia
    Roberto Vecchioni sul palco del Teatro Clerici di Brescia - Foto New Reporter Papetti © www.giornaledibrescia.it
AA

Un concerto da Professore (della canzone), da innamorato della bellezza (della letteratura, della vita), quello al Teatro Clerici di Brescia, quando 1.800 spettatori hanno risposto alla chiamata di Roberto Vecchioni. Con dentro alcuni dei personaggi che il cantautore milanese ha raccontato in oltre mezzo secolo di parole e note, identificandosi con essi ovvero narrando (anche) di sé attraverso loro.

Un Vecchioni «tra il silenzio e il tuono» (come da titolo del tour), leopardianamente «infinito» (come la settima canzone che ha eseguito), che ha parlato di «cultura come Resistenza» e – anche ricordando scherzosamente tre suoi allievi dell’Arnaldo – ha cominciato lo show parlando di trasmissione del sapere di generazione in generazione, che poi è il concetto alla base di «Storia e leggenda del lanciatore (di coltelli)», con cui ha aperto le danze, mentre la pioggia battente faceva sentire la sua eco pure sotto il tendone del teatro. Ogni brano ha un’introduzione che muove dall’universale per convertirsi in aneddoto personale: così sono i mirabili versi del poeta turco Nazim Hikmet («Il più bello dei mari è quello che non navigammo...») a precedere «Ti insegnerò a volare»; ed è un discorso sulla forza dei sentimenti e sul sentimento duraturo verso la moglie a lanciare «Ogni canzone d’amore» e «La mia ragazza».

Alla splendida, struggente «Vincent» (sull’amicizia tra Van Gogh e Gauguin) ci arriva argomentando di emozioni, di Pessoa, di «Blade Runner» e ricevendo in cambio un’ovazione. Poi mette in fila, tra le altre, «Signor giudice» (che richiama una sua disavventura giudiziaria), «El bandolero stanco», «Cappuccio rosso» (sulla tragica vicenda della combattente curda Ayse Deniz), «Voglio una donna», «Figlia», «Le lettere d’amore». La voce di Vecchioni è arrochita e appassionata come sempre, il piglio positivo come spesso negli ultimi anni, e la sua storica band – Lucio Fabbri a violino e pianoforte, Massimo Germini alla chitarra acustica, Martrino Vacca al basso e Roberto Gualdi alla batteria – lo segue con classe e partecipazione, generando suoni caldi, avvolgenti. In fondo, il Prof tira a lucido perle come «Le mie ragazze», «Sogna, ragazzo, sogna» e «Chiamami ancora amore», classici senza tempo come «Luci a San Siro» e «Samarcanda». Arrivando al cuore e all’anima, incantando dal principio alla fine.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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