Musica

L’ironia di Jannacci e la verve nel nome del papà Enzo

Giacomo Baroni
Ieri al teatro Borsoni lo spettacolo che è stato un omaggio divertente e raffinato con un’unica dedica esplicita, «Com’è difficile» di Luigi Tenco
Jannacci, di padre in figlio
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Si potrebbe andare tutti quanti al Teatro Borsoni, per sentire un jazzista che ricorda suo padre, ascoltare le migliori delle sue canzoni, e vedere di nascosto l’effetto che fa. Ieri sera, Paolo Jannacci ha portato nella nuova casa del Centro Teatrale Bresciano lo spettacolo «In concerto con Enzo. Una serata tra musica jazz e canzoni d’autore». Un omaggio raffinato, divertente e divertito, che non si lascia tentare dalle facili malinconie.

Il biglietto da visita di Paolo è jazzisticamente autografo in una gustosa introduzione strumentale: lirismo e guizzi estrosi nati «Somewhere over the rainbow» da una parte, un’irruenza virtuosistica che sgorga «Latinamente» dall’altra. Cuore della scaletta, le canzoni più amate del cantautore milanese.

Le storie divertenti e surreali partorite dalla mente di Enzo vengono restituite dal figlio con ironia e verve, infarcite di gag e tradotte in interessanti riletture eseguite da un quartetto rodatissimo. Così, il pulsante richiamo amoroso di «Giovanni telegrafista» si colora di eleganti sfumature jazzistiche e «Faceva il palo» si accende di un effervescente gusto twist. Momento romanticismo con la nostalgica «Parigi» di Paolo Conte e l’intensa «Io e te». L’«Armando» è una spassosissima canzone recitata, struggente invece «Vincenzina e la fabbrica». Si torna all’euforia con un medley da ovazione: «E la vita, la vita», «Ci vuole orecchio», «Messico e nuvole».

In piano solo, Jannacci regala l’unica esplicita, commossa, dedica al padre con «Com’è difficile» di Luigi Tenco. Per non concedere troppo alla nostalgia ci si lancia poi svelti nel classicone «Vengo anch’io. No, tu no», in cui parte l’irresistibile call and response con il pubblico. Prima dei bis (Bartali e Sfiorisci bel fiore) chiude il concerto, ma soprattutto il cerchio che unisce figlio e padre, la canzone che forse più di tutte ha segnato la missione artistica di entrambi nel raccontare degli ultimi e degli emarginati, «El portava i scarp del tennis».

Emozionante e commovente, ma sempre con un sorriso sulle labbra. Proprio come nello stile di papà.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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