Musica

Ligabue conquista il Grande con una serata «in famiglia»

Enrico Danesi
Sul palco con i fedelissimi della band e il figlio Lenny: il pubblico sotto il palco a ballare come allo stadio
  • Luciano Ligabue al Teatro Grande
    Luciano Ligabue al Teatro Grande - Jarno Iotti
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    Luciano Ligabue al Teatro Grande - Jarno Iotti
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Liga al Grande, grande Liga. Nel massimo teatro cittadino, per la seconda serata consecutiva votato al rock (l’altra sera con il post punk dei favolosi Talking Heads, nel film «Stop Making Sense») il cantautore di Correggio si dimostra perfettamente a suo agio anche con una dimensione raccolta, famigliare – aggettivo nobilitato dalla presenza nella band del figlio Lenny – e suggellata da un concerto «Dedicato a noi», come il titolo dell’album del 2023, il quattordicesimo e per ora ultimo in studio. Un live scenograficamente essenziale, in cui a supporto dell’artista reggiano, oltre al debuttante primogenito, c’erano il fedelissimo Federico Poggipollini alla chitarra, Davide Pezzin al basso e Luciano Luisi alle tastiere.

Elogiato il teatro («È pure bello, oltre che Grande, e non lo dico per piaggeria»), Ligabue ha dato forma ai suoi «sogni di rock’n’ roll», innnervando la narrazione principale – ovviamente incentrata sulle canzoni – con estratti della sua (auto)biografia. Abbiamo così sentito il racconto dell’esordio come spettatore, a un concerto di Lucio Dalla organizzato dal suo stesso padre, Giuanìn: «Lucio era magnetico. Era alto come me, che però avevo dodici anni e contavo di crescere ancora… ma sul palco era un gigante, pareva King Kong…».

Poi altri aneddoti, funzionali ad annunciare una canzone (come il patchwork di memorie fotografiche con cui introduceva «Buonanotte all’Italia»), ma anche capaci di evocare la genesi del processo creativo (e del mestiere) a partire da esperienze di vita vissuta. E pure di richiamare lo spettacolo di Battiato a cui assistette da giovane spettatore con la fidanzata, percependo con stupore l’eccitazione provocata nel pubblico femminile da un artista certo non avvenente. O di andare alle radici della vocazione del figlio per lo strumento che ora suona per (e con) lui.

Lo spettacolo

Sul versante sonoro, assecondando l’idea originaria di variare scaletta ogni sera, il Liga ha associato pezzi irrinunciabili delle sue uscite live (da «Questa è la mia vita» a «Certe notti», passando per «Balliamo sul mondo», «Piccola stella senza cielo», «Vivo o morto o x», «Tutte le strade portano a te», «Quella che non sei», «Non è tempo per noi», «Tra palco e realtà») con altri meno scontati, «quelli – per usare le parole dell’autore – che hanno la sfiga di essere suonati poche volte dal vivo». Categoria a cui appartiene senz’altro «Chissà se Dio si sente solo», ma in cui possiamo collocare «Atto di fede» o «Sono i sogni a dare forma al mondo», anche se la platea li canta praticamente per intero.

Con «Happy Hour», in chiusura di prima parte dello show, succedeva qualcosa di inusuale per il luogo: tutti a ballare sotto il palco, imitati (sul posto) da chi stazionava nei palchi ai piani superiori. Scena che si ripeterà con «La metà della mela», e poi nel finale arrembante…«Urlando contro il cielo». Coretti da stadio, non propriamente eleganti né adatti alla situazione. Ovazioni. Sipario. 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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