Giacometti, il nuovo album dedicato alla rivoluzione dei garofani
Meglio avere le mani sporche che le mani vuote. Antonio Giacometti fa sua la massima di Bertolt Brecht. Si compromette con la realtà, prende posizione, si interessa alle impellenze civili e le trasforma in opera d’arte.
Ha messo a tema il deforestamento dell’Amazzonia e lo sfruttamento delle popolazioni locali, scritto un’opera sulla dislessia, raccontato in suoni la vita nelle favelas brasiliane, composto un Oratorio su don Milani e l’educazione dei giovani, pubblicato un libro ispirato alle riflessioni dell’intellettuale indio Ailton Krenak.
Per il mezzo secolo dalla Strage di Piazza Loggia ha messo in scena «Per chi non c’era», rappresentato a fine maggio al Teatro Mina Mezzadri di Brescia (lì sarà replicato il 2 dicembre, come spettacolo conclusivo del cinquantenario organizzato dalla Casa della memoria, e poi ripreso il 4 dicembre a Roma per il Festival di Nuova Consonanza).
La sua ultima fatica, intitolata «Radio Renascença trasmette ’Grândola, Vila Morena’», è dedicata al cinquantesimo anniversario della Rivoluzione dei garofani portoghese, testi a cura di Caterina Casini e Francesco Suriano, con voci recitanti, ensemble cameristico, interventi video e audio, in prima esecuzione mercoledì 28 agosto a Sansepolcro (Arezzo), commissione della 57ª edizione del Festival delle Nazioni.
«Il nome “Revolução dos Cravos” deriva dal gesto di una fioraia che a Lisbona offrì garofani ai soldati – spiega Giacometti –. I fiori furono infilati nelle canne dei fucili, come segnale ai governativi perché non opponessero resistenza. Fu una delle poche sollevazioni popolari incruente della storia, senza processi sommari, vendette, ritorsioni».
Cosa significa «Grândola, Vila Morena»?
«È il titolo di una canzone portoghese del ’71 che per i suoi contenuti di fraternità, pace e uguaglianza fu censurata dal regime. Quando ’Rádio Renascença’ la trasmette nella notte è il segnale della rivolta. L’esercito ribelle al suono del brano si mette in marcia verso i palazzi del potere».
Quale musica ha pensato?
«Ho elaborato alcuni fado, quali simboli di presenze femminili feconde, accoglienti e pacificatrici, tra dramma e libertà, introversione e democrazia. Ho trasformato una serie di canti popolari con variazioni interne affidate a tre strumentisti (flauti, clarinetti e violoncelli), che, uno alla volta, si sovrappongono. Sono gli stessi strumenti utilizzati nella mia commemorazione sonora della strage di Piazza Loggia. A fine anno, all’alba dei 67 anni, tocco quota 200 pezzi. La mia op. 199, «Todesfuge», una commissione della Simc, ispirata alla Sonata BWV 1001 di Bach, eseguita in ottobre da Miranda Mannucci, racconta la storia di una ’fuga d’immigrazione’: dalla morte verso la morte, con un canto siriano che funge da soggetto di fuga. Ho concluso il mio omaggio a ’Starless’ dei King Krimson, a 50 anni dall’uscita, lavoro enorme, per grande orchestra. Se non riuscissi a sentirlo prima (sorride, ndr), spero che qualche allievo pietoso me lo suoni al funerale».
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