Musica

Festa di Radio Onda d’Urto, pubblico intergenerazionale per gli Exodus

Enrico Danesi
Circa 2.500 i presenti: era forse lecito attendersi qualche spettatore in più per la band heavy metal di San Francisco
  • Il concerto degli Exodus a Festa di Radio Onda d'Urto
    Il concerto degli Exodus a Festa di Radio Onda d'Urto - Foto New Reporter Papetti © www.giornaledibrescia.it
  • Il concerto degli Exodus a Festa di Radio Onda d'Urto
    Il concerto degli Exodus a Festa di Radio Onda d'Urto - Foto New Reporter Papetti © www.giornaledibrescia.it
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Picchiano forte e lo fanno sempre a velocità supersonica, gli Exodus, che hanno richiamato forse meno pubblico di quanto ci si aspettasse e perlopiù appartenente al popolo metal, con poche presenze estranee.

Era l’unica data italiana della band heavy metal di San Francisco, tra le più acclamate del filone thrash e in genere attrattiva pure fuori dal circuito metallico, ed era lecito attendersi qualche spettatore in più rispetto ai circa 2500 accalcatisi sotto il palco principale di via Serenissima; anche se poi colpiva la loro intergenerazionalità, dai venti ai sessant’anni (e oltre), con rare eccezioni agghindati con le classiche magliette d’ordinanza, nere con disegno fantasy. Se non altro, stavolta il metallo ha avuto la meglio sull’acqua (il cielo si è limitato a timide minacce pomeridiane, senza infierire), consentendo al gruppo californiano di rimediare alla defaillance del 2016, quando su quello stesso palco, di fronte alla pioggia battente annullò il live.

Il saggio

Prima dell’aggresione sonora posta in atto dagli Exodus (e, in apertura, forse con altrettanta applicazione e muscolarità, ma con meno carisma, dai toscani Razgate e dagli austriaci Insanity Alert), alla Libreria del Gatto Nero era stata sviscerata la fenomenologia del «metal» con un approccio letterario, presentando il saggio collettivo «Metal Theory» (D Editore, 2024), curato da Claudio Kulesko e Gioele Cima.

Si è così preso visione del racconto appassionato e inusuale di un genere musicale sovversivo, anarchico e primordiale che Mark Fisher (filosofo e studioso di musica britannico, scomparso prematuramente) definiva «saturo di metafisica». Un testo nel quale gli autori e le autrici (nove in tutto) hanno colto «la sfida concettuale posta dal genere dionisiaco per eccellenza: oltre la critica musicale, oltre la concettualizzazione filosofica, in un viaggio attraverso temi e immaginari inquietanti, sostanze psicotrope, possessioni demoniache, volumi al limite del danno auricolare, narrative ultraviolente e deliri megalomani».

Sul palco

Dalla teoria alla pratica: gli Exodus (il leader Gary Holt e Lee Altus alle chitarre, il fondatore Tom Hunting alla batteria, Steve «Zetro» Souza alla voce e Jack Gibson al basso), che sono in pista dal 1980, cominciano in realtà con un bizzarro fuori onda, che vuol essere un omaggio (registrato) alla tradizione musicale italiana, attraverso la celebre canzone napoletana «Funiculì Funiculà».

Poi si dipana un’ora e mezza di arrembante thrash metal, con l’essenzialità di suoni e la velocità d’esecuzione caratteristica dell’hardcore punk rinforzata dalla ritmica ossessiva dell’heavy, che genera il consueto muro di suono, mentre il canto è urlato, insieme acuto e grave, declamatorio. Il repertorio rende onore all’ultimo album, «Persona Non Grata» (2021), che ha avito ottimi riscontri di critica e di pubblico, con un paio di pezzi, «R.E.M.F» e «Prescribing Horror».

Ma, come sempre avviene nei concerti degli Exodus, è dal seminale album d’esordio «Bonded By Blood» (1985) che essi attingono con maggior frequenza, tirando a lucido brani quali la title-track, «A Lesson in Violence» o «Piranha», senza disdegnare incursioni anche negli altri dieci ellepì pubblicati in carriera, pescando per esempio «The Toxic Waltz» o «Strike of the Beast». Uguali a sé stessi nel tempo, assecondando le certezze di un genere che non si rinnova ma resiste all’inevitabile mutare delle mode, bravi senza esagerare.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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