Festa di Radio Onda d’Urto, la catarsi dei Marlene Kuntz
Un’esperienza catartica (come da premessa e da promessa), e l’ennesima dimostrazione che il rock risorge sempre dalle proprie ceneri.
I Marlene Kuntz – dei quali lo scrittore Enrico Brizzi, esagerato ma convinto, nel 1998 asseriva che «non sono un gruppo di rock italiano, ma l'unico gruppo italiano di rock» – hanno celebrato i trent’anni del loro disco d’esordio, appunto «Catartica», con un live tiratissimo, profondamente chitarristico, pervaso da un’atmosfera di conturbante psichedelia, con un’irriducibile anima rock. E il rock continua a sembrarci (anche aldilà delle mode, che vanno senz’altro in direzioni differenti) la dimensione più congeniale per la band di Cuneo, che pure sperimenta talvolta strade alternative, come ha fatto con l’elettronica (al servizio della causa ecologica) nel concept-album «Karma Clima», un paio di anni or sono.
Opening
La doppia apertura non è peraltro stata meno avara di soddisfazioni, prima con l’accoppiata Massimo Zamboni/Asso Stefana e poi con gli Area Open Project. Il sodalizio (non estemporaneo) tra il chitarrista, compositore e scrittore emiliano Zamboni (fondatore di CCCP e CSI) e il polistrumentista e produttore bresciano Stefana (chitarrista prediletto di Capossela, al fianco pure di Benvegnù, P.J. Harvey, Calexico, Mike Patton), che ha dato vita nel 2022 al bellissimo disco «La mia patria attuale», ha ripiegato per ragioni acustiche sul più contenuto palco dello stand Chiringuito, riempito come un uovo da un pubblico che ha comunque apprezzato l’atmosfera raccolta, quantomeno adatta al mood del disco e, più in generale, al tratto intimo ed essenziale scelto dai musicisti (anche se a noi è parsa un po’ penalizzante, per visibilità e resa).
Ha invece occupato con grande qualità, tecnica ed energia il palco principale la formazione guidata dal tastierista Patrizio Fariselli (nel nucleo fondativo dei leggendari Area), che ha proposto (anche) pietre miliari del repertorio originale della band che aveva come frontman Demetrio Stratos, come «Arbeit Macht Frei», «L’abbattimento dello Zeppelin» o l’ancora oggi straordinaria (oltre che attualissima) «Luglio, agosto, settembre (nero)», insieme a materiali di nuova elaborazione.
Un’esibizione che gli spettatori presenti (oltre un migliaio già per loro), hanno dimostrato ampiamente di gradire, con applausi convinti e reiterati; d’altronde è ormai difficilissimo sentire dal vivo certi pezzi (per la loro complessità e anche per la loro scomoda spigolosità), a meno a che a proporli non ci siano i membri superstiti della band meno afferrabile nella storia della musica italiana. Considerazione gratuita: forse gli Area Open Project meriterebbero in futuro una chiamata alla Festa come headliner, non crediamo deledurebbero le attese.
Gli MK
Ma torniamo ai MK, ovvero a Cristiano Godano (chitarra, voce, testi), Riccardo Tesio (chitarra), Luca «Lagash» Saporiti (basso), Davide Arneodo (tastiere, violino, piano, synth, percussioni), Sergio Carnevale (batteria). La band - di fronte a un pubblico che raggiungeva tranquillamente le 3000 unità - ha attinto quasi per intero da «Catartica», estraendovi undici tracce su quattordici, ad ogni modo svincolandole dall’ordine del disco e mescolandole con una manciata di brani ulteriori, presi dagli altri due ellepì pubblicati negli anni ‘90 del secolo scorso, dunque «Il vile» (1996) e «Ho ucciso paranoia», con il chiaro intento di garantire omogeneità e continuità sonora.
Missione compiuta, all’insegna di una compattezza senza incrinature, capace di generare un sound che ha parecchi debiti (dichiarati) nei confronti dei Sonic Youth (che insieme a Nick Cave e Neil Young formano la triade di numi tutelari di Godano), indulgendo non poco a distorsioni, accelerazioni, digressioni noise, con testi perlopiù brevi ma ieratici, declamatori (come nell’arrembante «1º 2º 3º» o nella vertiginosa «Festa mesta»), a tratti ipnotici.
Fanno ancora un figurone canzoni come «Trasudamerica», che ha dato il via al concerto, «Lieve», «Lamento dello sbronzo», la seminale «Sonica» e la sentimentale «L’infinità» (suonata con il contributo di Asso). Preceduta da un breve ricordo di Luca Bergia (dagli esordi al 2020 batterista dei Marlene, scomparso nel 2023) . La passerella finale si affidava a «Come stavamo ieri», «Ape regina», infine alla dissacrante e meta-testuale «M.K», furioso e autoreferenziale biglietto da visita di una band che si affacciava alla ribalta e non l’avrebbe più abbandonata.
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