Vecchio Rodolfo, giovani d’oggi, «Bohème» di sempre: la recensione

Marco Bizzarrini
L’originale (e premiata) rappresentazione metateatrale dell’immortale opera di Puccini al Teatro Grande
Bohème al Grande
AA

È una «Bohème» giovane, in rilettura metateatrale, quella andata in scena venerdì sera al Grande. La regista Maria Luisa Bafunno, risultata vincitrice – assieme ai suoi collaboratori – del concorso per progetti teatrali under 35 indetto da OperaLombardia, ha immaginato che l’immortale vicenda narrata nell’opera di Puccini prendesse la forma di un lontano ma ancor vivido ricordo di un Rodolfo ormai vecchio, proveniente dal futuro, dall’anno 2070 o giù di lì.

Così, a sipario aperto, ancor prima che l’orchestra attacchi le note iniziali, vediamo in scena un signore anziano che apre una «scatola dei ricordi»: a un certo punto, pervaso dalla commozione, questo personaggio esclama ad alta voce «Mimì!» e la scatola si trasforma in un palcoscenico ove si rappresenta l’opera che tutti conosciamo, ma con i bohémiens in abiti dei nostri giorni. Dunque, una classica forma di «teatro nel teatro».

Quel Rodolfo anziano, che tace per il resto della rappresentazione, assiste ai margini della scena, salvo intervenire per cercare di proteggere la sua Mimì, come nel terzo quadro, ma invano, come si può ben immaginare. Se questa sovrastruttura aumenti o attenui il potere lacrimogeno dell’opera, lo deciderà il singolo spettatore in base alla sua sensibilità; di certo si conferma il desiderio, nell’attuale mondo dell’opera, di cercare soluzioni innovative nella riproposta dei titoli più popolari.

I personaggi

Quanto ai personaggi rappresentati come ragazzi d’oggi, in abbigliamento sgargiante o casual, con il filosofo Colline che indossa una maglietta gialla con la scritta «The future is now» (indizio di paura del futuro?), tutto questo, crediamo, non impatta più di tanto sulla sostanza drammaturgica, che viene rispettata. Rodolfo canta accanto a cartoni di pizza, ma non è poi così aggiornato se per il suo articolo destinato al «Castoro» usa una macchina da scrivere antidiluviana anziché un notebook di ultima generazione, che probabilmente non si può permettere.

Nella compagnia di canto si è nettamente distinta la Mimì di Maria Novella Malfatti, ben accolta nelle sue celebri arie. Tra gli uomini ha convinto il Marcello di Junhyeok Park, d’origine orientale come l’esuberante Musetta di Fan Zhou. Il tenore Vincenzo Spinelli (Rodolfo) raggiunge con facilità il Do e Si bemolle acuto, ma il suo ruolo richiederebbe un maggior rilievo. Davide Peroni è stato al gioco di interpretare uno Schaunard scenicamente alla Freddie Mercury e Gabriele Valsecchi (Colline) è stato apprezzato in «Vecchia zimarra».

Alla testa dell’Orchestra dei Pomeriggi musicali c’era un direttore di sicuro talento, il ventiquattrenne Riccardo Bisatti, tecnicamente preciso e attento ai dettagli della partitura (con il diminuendo improvviso nel finale, dopo le ultime esclamazioni disperate di Rodolfo), ma non sarebbe guastata una maggior sottolineatura dei momenti più espressivi dell’opera.

Applausi rispettosi da parte del folto pubblico e oggi pomeriggio seconda recita alle 15.30.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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