Torna Afrobrix, il festival dell’afrodiscendenza: il programma
Mondi lontani per qualche giorno più vicini. A Brescia per il quinto anno torna Afrobrix, il festival dell’afrodiscendenza.
Allestito dal 6 all’8 settembre al centro Comboni di viale Venezia (dalle 18 con ingresso libero) l’appuntamento offrirà profumi (negli stand con tipicità gastronomiche), colori (presente il mercatino dell’artigianato, con produzioni seminomade di gioielli e vestiti) e suoni (tante le esibizioni live in scaletta). Con il desiderio di portare in città quella che per molti è aria di casa.
Tante desinenze diverse, insomma, concentrate verso un obiettivo comune: «Superare la discriminazione, rompere le distanze, sentirci una sola umanità – sintetizza il direttore artistico Fabrizio Colombo –. Azioni attuate qui per l’intero anno, sfruttando una sala di registrazione, corsi di teatro, fotografia e montaggi video: diamo, a chi lo desidera, l’opportunità di esprimersi in libertà, senza giudizio alcuno. Il festival è solo l’apice di attività portate avanti nel solco di una ritrovata fratellanza». Parola, questa, oggi forse caduta in disuso e macchiata da attacchi ideologici-razziali. Per declinarla nel concreto, ad Afrobrix ci si affida allora (anche) al linguaggio universale della musica.
Il programma
Intervallata da jam-session di ballo, la serata di venerdì si anima con il rapper Big Boa (genitori ghanesi, mescola afrobeat, dancehall e carribean), il pop black di Samia (Samia Pozzobon, origini somale e yemenite) e il Trio Bazuka che con brasiliani e congoleri viaggia tra samba, afrojazz, bossa e reggae.
Proseguendo, sabato la Nigeria è nel cuore del rock’n’soul di Thoè, seguito da Em che, nato in Senegal e giunto in Italia da piccolo, fa del tipico boom bap dell’hip-hop il marchio di fabbrica. C’è inoltre l’amapiano del napoletano-gambiano Yusbwoi, con deep house, gqom, jazz, soul e lounge nel Dna, mentre Epoque di radici congolesi si diletta in testi impegnati tra la madrelingua, l’italiano e il francese.
Domenica infine, giornata maggiormente a dimensione di famiglia (con le comunità straniere solite a radunarsi in loco insieme a italiani e ragazzi di seconda generazione africana), ecco sul palco i Bantukemistry, per un’inedita alchimia tra sonorità afro, elettronica e jazz. Con loro c’è anche Nasser (detto Mimmo), cantante bresciano di origine egiziana che, servendosi del pop melodico contemporaneo, tratta temi attuali quali l’immigrazione e l’integrazione. Parla invece marocchino il repertorio dei Jedbalak, a condire una gradevole fusione tra influenze del Mediterraneo.
E non è tutto: dal 15 al 17 novembre si tiene l’Afrobrix Film Festival: un modo ulteriore, attraverso teatro e cinema, di promuovere l’inclusione fra i popoli. //
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