Mozart, ritratto da «star» nella Brescia di fine ’700
Lui, il giovane «Wolfi», in completo rosso e verde e posa da star. Il padre Leopold, sorriso compiaciuto per i successi internazionali del prodigio della tastiera, pronto a proteggerlo con il suo abbraccio mentre gli tiene il viso rivolto al ritrattista. Un’istantanea di due secoli e mezzo fa, testimonianza del passaggio nella nostra provincia di quello che sarebbe diventato il più grande musicista del ’700 europeo.
Ammesso che di Mozart proprio si tratti. Tutto porta in questa direzione - spiega il restauratore Gianmaria Casella, nel cui studio l’opera inedita è stata sottoposta alla pulitura. Mozart, nato nel 1756, fu in Italia e fece tappa ripetutamente a Brescia tra il 1771 e il 1773, assieme al padre che lo esibiva in teatri e salotti come giovane musicista prodigio. Gli abiti sono quelli dell’epoca, la tastiera sulla destra fa riferimento al suo precoce talento per il clavicembalo, e la colonna e il drappo sullo sfondo evocano una ambientazione illustre, forse un palazzo patrizio. La provenienza dell’opera è bresciana. E sappiamo che padre e figlio furono ospiti in varie occasioni del conte Faustino Lechi, collezionista di dipinti e strumenti musicali pregiati, appassionato di musica e violinista egli stesso. Il conte ospitò i Mozart nel febbraio e nell’agosto del 1771; poi ancora l’anno successivo, forse nel palazzo di famiglia a Montirone, e infine nel marzo del 1773 probabilmente nella residenza cittadina di corsetto Sant’Agata.
Lo stesso Leopold Mozart documentò in una lettera alla moglie datata 4 novembre 1772 questa frequentazione: «Vi è a Brescia un conte Lechi - scriveva papà Mozart -, gran suonatore di violino, appassionato conoscitore e amatore di musica, presso il quale abbiamo promesso di fermarci durante il nostro viaggio di ritorno». Il dipinto, opera di un autore ignoto, non è certamente un capolavoro, ma ha la vivacità un po’ naif della presa diretta, come si trattasse di un ritratto eseguito appositamente per documentare anche ai posteri la presenza del giovane genio. Che sulla tela ha l’aria un po’ da... bamboccione, a dispetto dell’età (facendo i conti, avrebbe avuto circa 15 anni) e della fama. Lasciando la parte del protagonista al padre, vero «deus ex machina» di un sistema promozionale che avrebbe lanciato Amadeus nel firmamento europeo. La «strana coppia» attraversò l’Italia da nord a sud per ben tre volte nel giro di un paio d’anni, in una sorta di simbiosi suggellata anche dalla scritta apposta sul dipinto: «Duo sed unus. Et idem» si legge, che tradotto suona più o meno come «Sono due ma sono una cosa sola».
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