Mötley Crüe, splendidi a Milano nel tour d'addio
È stata l’ultima volta a Milano. L’ultima occasione nella quale Tommy Lee ha abusato della sua batteria pestando come se non ci fosse domani, Nikki Sixx ha sparato fiamme dal suo basso, Mick Mars ha..., beh è stato semplicemente Mick Mars. L’ultima volta nella quale Vince Neil ha ancheggiato con costumi di scena che - 25 kg fa, etto più etto meno - faceva impazzire le fan del Sunset Strip.
Addio Mötley Crüe, ci mancherete. Ancora di più dopo la botta d’adrenalina regalata martedì sera al Mediolanum Forum di Assago (esaurito come di prammatica), per l’unica data italiana del Final Tour che porterà il quartetto losangelino ad accomiatarsi per sempre dal proprio pubblico con tre show (28, 30 e 31 dicembre) allo Staples Center di Los Angeles.
Prima di essere un’esperienza musicale, la serata meneghina ha regalato attimi di pura nostalgia glam, quasi struggente per chi ascoltava «Looks That Kill», «Shout At The Devil» o «Dr. Feelgood» quando di anni ne aveva 15, non 40. Come sempre in queste occasioni, la macchina del tempo ha sputato fuori rocker attempati vestiti in pelle e bandane, mischiandoli a ragazzini che ne copiavano fedelmente il look, con molte rughe (e parecchi giri... di vita) in meno. Show nello show che ha già iniziato a diventare elettrizzante quando Alice Cooper ha ululato al microfono il suo spettacolo, muscolare e teatrale, con la solita, ottima «Poison» e la chicca «School’s Out» (che, badate bene, è del 1972) a incendiare la platea.
Ma lo show dei Mötley, partito con la ruggente «Girls Girls Girls», è stato un bagno primordiale in sonorità ancora in grado di «spaccare»: Mick Mars, immobile come un crash test dummies, spara schitarrate che sono colpi d’ascia, mentre la furia primordiale di Tommy Lee fa tremare la batteria ad ogni passaggio. La scaletta è un greatest hits che non concede tregua, tra «Smokin’ In The Boys Room», la cover di «Anarchy In The U.K.» o la nervosa «Live Wire». Il pubblico ondeggia, canta ogni strofa, aiuta Vince nei cori. Una marea in estasi che pompa adrenalina, sognando di surfare tra spiagge, drink e vizioso rock ’n’ roll.
Tommy Lee, sempre... sobrio, regala un drum solo roteando sulla testa del parterre con una batteria che compie evoluzioni nell’aria, compresi giri della morte assortiti, mentre lui, impassibile, jamma tra vecchie hit (come «Paranoid» o «Moby Dick») e fughe elettroniche.
L’ultimo brano «Kickstart My Heart» è solo il preludio all’amarcord formato bis, l’intensa «Home Sweet Home», suonata su un piccolo palco piazzato nel mezzo del Forum. Titoli di coda, pacche sulle spalle, sorrisi: il viaggio è finito. Un capellone occhialuto commenta: «Il mio rispetto a Mick Mars che da più di trent’anni suona con dei perdenti». Eccolo qui, il vecchio spirito dei Mötley Crüe, sfacciati e amanti del corpo a corpo, delle frasi da lingua a sonagli. Addio o non addio, l’erba cattiva non muore mai. Specie quando fa rock.
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