Matteo Caccia: «Le storie e le voci degli altri ci cambiano la vita»
Matteo Caccia è nato per scrivere. Per raccontare, soprattutto. «Io vengo da una famiglia di campagna, non contadina ma di paese, e ci ho messo del tempo a capire che quello che facevo era un lavoro. Per me il lavoro era un’occupazione reale e fisica di otto ore, classica». Eppure, anche la creatività alla fine l’ha fatto mangiare ghiottamente.
«Voci che non sono la mia. Come le storie ci cambiano la vita» (Il Saggiatore) è l’ultimo libro scritto da Matteo Caccia, che solitamente si occupa di scrittura in maniera diversa. La sua è una penna al servizio della voce: radio, podcast, programmi... Lo si potrebbe definire genericamente «autore», ma sarebbe riduttivo, perché la sua, di base, è narrazione creativa prestata al racconto della realtà. Ieri Caccia era a Brescia per Librixia. A dialogare con lui, negli spazi dell’auditorium di Santa Giulia, la direttrice del Collegio universitario Lucchini Carla Bisleri e Giaele Ronchi, una studentessa dello stesso istituto.
«Da dieci anni lavoro sulle storie delle persone, ma ho capito che ho iniziato a farlo quando da piccolo registravo la voce di mia nonna a tavola». Sulla voce si è soffermata anche Bisleri, che ha spiegato come i capitoli del libro si dispieghino tra autobiografia e storie. «Si parla anche di chi ha perso una persona cara: a mancare, spesso, è proprio la voce. E poi si sottolinea l’importanza dell’educazione all’ascolto: non tutti siamo capaci di ascoltare allo stesso modo». Anche perché non tutte quelle che si ascoltano sono storie che trovano orecchie. Per trovarle devono incuriosire, devono essere narrate con le giuste parole. Non solo nello showbiz, ma anche nella quotidianità.
«Pensate a quanto è essenziale raccontarsi», ha sottolineato Caccia: «Quando racconti un piccolo fatto di te a una persona, quella persona sarà un po’ più interessata a te. Anche solo che hai bucato una gomma. È questo l’ABC delle storie, che stanno alla base della comunità umana».
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