Mario Calabresi: «Non attendere ma scegliere cosa fare e da che parte stare»
Quando la giovane vicina di casa, malata di tumore, gli ha chiesto di aiutarla a scrivere un diario per «tramandare un pezzo di memoria» ai suoi bambini, in Mario Calabresi si è risvegliata una domanda antica degli esseri umani: per cosa vale la pena vivere?
Da qui è nato «Una volta sola», il libro che il noto giornalista - già direttore de La Stampa e la Repubblica, e oggi della podcast company Chora Media - presenterà a Brescia martedì 20 dicembre, alle 18 nella chiesa di San Cristo, in via Piamarta 9. L'incontro è promosso dalla Cooperativa cattolico-democratica di cultura con le Acli provinciali, la libreria Suore Paoline e la rivista Missione. Nell'incontro bresciano dialogherà con le giornaliste Laura Fasani, redattrice al Web del Giornale di Brescia, e Valentina Gheda, collaboratrice del dorso bresciano del Corriere della Sera.
Calabresi ha raccolto 14 storie di persone comuni che hanno saputo fare scelte coraggiose e appassionate, consapevoli del fatto che «si vive una volta sola» e nulla deve andare sprecato. Da Claudia, che ha denunciato il marito camorrista e violento, a Camila e Maurizio, tornati in Italia dall’ Argentina in cerca delle proprie radici; da Sami, memoria vivente degli orrori del nazismo, ad Alì, il sarto afgano che ha aperto il suo negozio a Torino alla fine di un percorso duro e doloroso. Per tutti loro, e per i lettori, vale l’esortazione che Pietro Carmina, l’insegnante morto nel crollo di una palazzina a Ravenusa, aveva lasciato ai suoi studenti: «Non siate spettatori ma protagonisti della storia che vivete oggi».
Calabresi, quanto ha influito su questo libro la pandemia da Covid-19?
Senza di essa non sarebbe nato. Se la pandemia fosse durata soltanto una primavera, probabilmente le nostre vite sarebbero riprese come prima, pur con il dolore per le persone scomparse. Il fatto che sia durata così a lungo, con tanti momenti di speranza andati poi delusi, ha invece distrutto un po’ di certezze: prima facevamo programmi a lunga scadenza, poi è tornata l’idea che le cose non sono così certe e date ma possono mutare per eventi inattesi. Quindi non si può rinviare: se uno ha un sogno, un progetto, un’idea, è meglio che cerchi di realizzarli. Non adagiarsi ad attendere, ma scegliere cosa fare e da che parte stare.
Come ha trovato le storie che racconta?
Quando trovo un tema che mi convince, comincio ad andare in giro, a chiedere, ma soprattutto resto ben disposto all’ascolto. E quando uno è in questa disposizione d’animo, poi le cose arrivano. Raccolgo sempre molte più storie di quelle che scrivo, ma anche qui alla fine ho lasciato solo i racconti che mi sembravano più forti.
E ha cominciato dalla sua vicina di casa...
Una storia che mi ha toccato moltissimo e mi ha fatto pensare. Proprio lei, nei messaggi audio che mi lasciava, ripeteva continuamente di voler trasmettere ai figli la sensazione di come sia importante scegliere e rendersi conto di quanto certe cose siano preziose mentre ancora le hai, e non soltanto quando rischi di perderle. Molte scelte decisive vengono prese in un attimo... Parlando con le persone di cui ho scritto, ho capito che quell’attimo non è mai casuale, ma sempre consapevole, perché contiene tutto ciò che noi siamo. Siamo la somma di tutto quello che abbiamo vissuto, e quell’attimo rappresenta la nostra sintesi estrema.
Ci sono capitoli dedicati ad amici e a persone che hanno contato nella sua vita. Perché li ha inseriti?
Mi preoccupo che tutto quello che metto nei libri risulti universale. Racconto quasi sempre di gente comune e sconosciuta, perché penso che tutti si possano identificare in loro. Ho raccontato di un amico, Corso Piepoli, e del professor Eugenio Riccomini, con cui frequentai un memorabile corso di Storia dell’arte, perché tutti hanno un amico che non c’è più - o che c’è ancora - e ha lasciato un segno; ed è bello pensarci e rendersene conto. Così come, secondo me, è fondamentale, in un mondo che guarda sempre avanti, rendersi conto di ciò che dobbiamo ai maestri incontrati nella vita.
Alcune scelte non si ha il coraggio di compierle: lei scrive dell’ex terrorista Narciso che non ha una parola di scuse per quello che ha fatto...
Per anni ho detto ai ragazzi nelle scuole che ci vuole coraggio anche per non fare le scelte sbagliate. A volte ci si trova di fronte a un bivio, e in questa storia le due scelte possibili mi sono apparse con grande chiarezza: due fratelli che condividevano la stessa idea di giustizia sociale, declinata da uno con la scorciatoia della violenza e dall’altro, Fabio, in un modo più approfondito e faticoso, ma che dà frutti stupendi, e che consiste nell’impegnarsi per gli altri.
Le nostre scelte, infatti, possono determinare l’andamento di altre vite...
Molte volte abbiamo bisogno degli altri per fare la differenza. Dobbiamo però renderci conto che gli altri siamo noi, e che tocca anche a noi a volte metterci in gioco e allungare una mano.
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