Cultura

Marco Paolini al Clerici di Brescia: «Tutto diventa videogioco»

Enrico Danesi
Il narratore classe ‘56 mercoledì 9 aprile salirà sul palco insieme a Patrizia Laquidara con «Boomers»: «Con la memoria perdiamo l’idealità e la politica»
Marco Paolini e Patrizia Laquidara - Foto Moretto
Marco Paolini e Patrizia Laquidara - Foto Moretto
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Al bar della Jole, situato sotto un ponte, un padre scava nella propria memoria a beneficio del figlio, programmatore per una multinazionale di videogiochi, che però non è interessato a entrare in connessione col genitore quanto piuttosto a monetizzare i suoi ricordi in una realtà virtuale. È l’estrema sintesi di «Boomers», spettacolo che un grande del teatro di narrazione come Marco Paolini, classe 1956, porta mercoledì 9 aprile, alle 21.15, al Teatro Clerici di Brescia (via San Zeno 168, biglietti da 18 a 33,91 euro + diritti; info zedlive.com).

Abbiamo parlato dello spettacolo con lo stesso Paolini.

Marco, c’è la memoria al centro di molti suoi spettacoli. Anche in questo?

Con questo lavoro chiudo il ciclo della memoria. Non somiglia ad altri del passato, non c’è una vicenda unica raccontata, ma un caleidoscopio nel quale la perdita fa parte delle regole del gioco: non si salvano per forza le cose che appartengono alla mia memoria, e la perdita in certi casi equivale a una sconfitta, perché tra le cose smarrite ci sono delle idealità... Il mondo che sognavo, il sogno condiviso in cui sono cresciuto, non è qualcosa di realizzato. Questa condizione di disagio diventa la chiave per raccontare un conflitto generazionale che non è alimentato soltanto da un diverso approccio tecnologico, ma che è legato (anche) ad altro.

A cosa?

Alla perdita della politica – onnipresente nelle nostre vite, anche quando è meno visibile – come sogno per cambiare il mondo. Tanto che l’universo che io racconto finisce in un videogioco, quindi in qualcosa di artificiale. Non so quanto ciò sia efficace… Qualcuno potrebbe leggerlo come il viaggio in un paese delle meraviglie o degli orrori, a seconda del punto di vista. Per questo ho usato la musica e cercato soluzioni sceniche per andare oltre l’orizzonte autobiografico.

Sul palco c’è la cantautrice Patrizia Laquidara, che interpreta la Jole. Che ruolo ha la musica in «Boomers»?

In generale, ha più o meno lo stesso peso della politica; ha una forza segreta che traina le energie e l’immaginario collettivo. La colonna sonora per me non è sottofondo, ma è simile al racconto; per questo ho coinvolto Patrizia, che con il mio contributo ha dato vita a testi originali, e strumentisti (Luca Chiari, Stefano Dallaporta, Lorenzo Manfredini, ndr) capaci di improvvisare senza preclusioni di genere: rockettiamo, facciamo pop quando serve, riarrangiando quando c’è da citare.

Dal 1999 produce i suoi spettacoli. Le garantisce una libertà che non avrebbe?

Oggi ci sono meccanismi di finanziamento pubblico che favoriscono un teatro «usa e getta», mentre io continuo a pensare che un testo teatrale migliori invecchiando, come il vino: sarò imperfetto, ma a piace intervenire nel tempo e affinarlo. Quello che ho fatto da 26 anni a questa parte (teatro, cinema e documentario, il progetto «La fabbrica del mondo» al confine tra informazione scientifica e creazione artistica) mi è stato possibile solo grazie a una struttura produttiva orgogliosamente indipendente.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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