Cultura

Marcia su Roma: nessuno seppe cogliere il pericolo che incombeva sulla democrazia italiana

Non la «calata dei barbari» bensì l’esito di un mix di tare storiche e di più recenti fattori di crisi
La Casa del Popolo di Brescia, in via Marsala, occupata dagli squadristi nella notte tra il 28 e il 29 ottobre 1922
La Casa del Popolo di Brescia, in via Marsala, occupata dagli squadristi nella notte tra il 28 e il 29 ottobre 1922
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Per un bizzarro scherzo della storia, proprio nell’anno in cui ricorre il centenario della marcia su Roma dobbiamo registrare non solo l’affermazione del partito che affonda le sue radici nel nostalgismo fascista, ma pure l’insediamento a Palazzo Chigi della sua leader. Dopo 75 anni in cui si è continuato a gridare «al lupo al lupo», il lupo si è finalmente presentato, anche se ormai assai ammansito. In genere, gli anniversari si traducono in celebrazioni.

C’è da augurarsi che la ricorrenza riferita al 28 ottobre 1922 solleciti invece una seria riflessione sul fascismo storico e sulla sua eredità nella nostra Repubblica. Il primo punto di cui prendere coscienza è che il fascismo fa parte a pieno titolo della nostra storia, di cui non è facile sbarazzarsi pensando che sia stato un semplice incidente di percorso o la calata di barbari su una società civile al fondo sana. Fu piuttosto l’esito di un mix di tare storiche e di più recenti fattori di crisi.

Il seme del fascismo 

Lo Stato italiano soffriva fin dall’Unità di gravi limiti. Le istituzioni occupate da massoni in un Paese di cattolici. Un ceto politico notabilare e le masse prive del diritto di voto. Uno Stato nelle mani di pochi, assediato dai molti, lontano dall’aver compiuto una vera integrazione delle masse. Su questi «vizi originari» si abbattono con la guerra mondiale nuove fratture e esplosivi conflitti. A milioni di umili contadini si era chiesto di dare la vita, di sacrificare la giovinezza, di sopportare sofferenze e rinunce disumane. A guerra conclusa, invece di un premio per i sacrifici sopportati essi ricevono dal governo vuote promesse e dai compatrioti, molto spesso, un pubblico dileggio. Al contrasto tra «caporettisti» e interventisti si somma il gravissimo conflitto di classe, subito esploso nelle fabbriche e, ancor più, nelle campagne.

Passaggi storici

A soffiare sul fuoco del ribellismo contribuisce il vento rivoluzionario che spira dalla Russia. La lotta di classe tende a farsi guerra civile. Si susseguono senza tregua scioperi, violenze, occupazioni di fabbriche e di terre. Sale nel Paese una domanda «d’ordine» che vuole a tutti i costi sventare «il pericolo rosso». La risposta la offre lo squadrismo, che dilaga senza argini capaci di contenerlo. Di fronte a una sfida di tale portata i governi - tutti quelli che si succedono dl 1919 al 1922 - soccombono. I liberali perdono la maggioranza assoluta in Parlamento. Diventa impossibile formare un governo. La Camera è irrimediabilmente divisa in tre parti, tra loro in conflitto, con socialisti, popolari, liberali l’un contro l’altro armati. Non uno tra liberali, popolari, socialisti e comunisti che sappia cogliere il pericolo mortale incombente sulla democrazia italiana. Solo quando è ormai troppo tardi si fa strada l’idea che il fascismo non è una forza politica come le altre. Adottando la violenza come metodo risolutivo del conflitto politico, abrogando qualsiasi forma di libertà sindacale e partitica, dà vita ad una dittatura che prende le sembianze di una nuova forma di esercizio del potere: il totalitarismo.

Squadrismo come pratica

È in questo contesto che si inserisce l’iniziativa dei Fasci di combattimento, nati nel marzo del 1919. Si presentano come una filiazione della sinistra. Chiedono il suffragio universale, il voto per le donne, la giornata lavorativa di otto ore, il minimo di paga, una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo, che equivale a un espropriazione parziale di tutte le ricchezze, il sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose e l’abolizione di tutte le mense vescovili. Il marchio rivoluzionario non funziona. Alle elezioni del novembre 1919 per Mussolini è un flop completo. Solo con l’esplosione della lotta bracciantile nelle campagne il fascismo vira decisamente a destra. Si intesta la reazione padronale adottando lo squadrismo come pratica corrente. Lo Stato si mostra o connivente o renitente ai suoi doveri di difesa dell’ordine democratico.

Il ceto politico liberale e l’establishment non fermano lo squadrismo nella speranza che metta a tacere il sovversivismo rosso e che poi si acquieti con il solo elisir del potere. Da parte loro, socialisti e comunisti sono obnubilati dal sogno di fare come in Russia. I popolari, poi, si dividono sull’appoggio o meno al governo Mussolini. È la porta aperta alla dittatura, che tra il 1924 e il 1925 si stabilizza. Ci vorrà il disastro di una nuova guerra mondiale perché l’Italia riconquisti la libertà.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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