Marchionne e l'elogio della riservatezza
Come talvolta sanno fare i grandi uomini, Sergio Marchionne ha spiazzato tutti facendo emergere dal cono d’ombra dove ha sempre tenuto la sua vita privata una grande lezione di dignità. L’immagine pubblica della sua persona, nota a tutti attraverso i media, suscita in me un pensiero che si incentra sull’aspetto privato dell’uomo, «colpito a morte» dalla malattia. Credo che il suo modo così schivo di affrontarla meriti un elogio alla riservatezza. La sua decisione di scegliere una privacy estrema, in controtendenza al momento storico in cui tutto viene urlato, triturato e digerito dalla Rete, indica la precisa volontà di un uomo cosciente che ha rifuggito le moderne pratiche di comunicazione, scegliendo di non diventare il pasto mediatico della curiosità.
L’uomo manager, anche criticato, che ha realizzato una seconda conquista dell’America, sostenendo come Tolomeo che la terra è piatta quando si tratta di mercati e di economia, ha ricordato a molti che esiste ancora una differenza sostanziale nel modo di interpretare il proprio dolore. Egli ha scelto la modalità del nascondimento, per viverlo nel totale riserbo familiare. Anche i sanitari della clinica svizzera seguendo l’etica professionale e non dichiarando la causa precisa del decesso, hanno contribuito a proteggere il diritto imprescindibile alla riservatezza di coloro che si sottopongono a terapie. Eppure sono state molte le notizie passate al setaccio dell’informazione, accuratamente filtrate per la voracità di un pubblico famelico di particolari sempre più intimi.
L’elogio alla discrezione di questo genio del management è esattamente congruente alla sua legittima decisione di combattere in silenzio un nemico «innominato». Senza volerlo egli ci ha trasmesso il messaggio asciutto che i sentimenti e gli affetti possono essere vissuti senza spettacolarizzazione all’interno della famiglia, eletta come campo dove si vincono o si perdono le battaglie contro il destino. Nella libertà di condividere urlando il proprio dolore, trova parimenti diritto di cittadinanza la scelta di soffrire appartati, protetti dal più rigoroso silenzio. È quindi auspicabile che nessuno scavi ulteriormente per conoscere la motivazione che ha determinato la prematura scomparsa, ma venga piuttosto rispettato il suo desiderio di riserbo. Personalmente elogio il dignitoso pudore scelto da Sergio Marchionne nel non aver voluto esporre al mondo la sconfitta infertagli dalla sua stessa carne. Cosi sia!
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