«Lo schiavista» e altri libri consigliati: il bookclub di novembre
Il bookclub di novembre del Giornale di Brescia è particolarmente variegato. I libri che giornaliste e giornalisti della redazione hanno letto nel pieno dell’autunno sono diversi tra loro per origine degli autori, tema e generi. Come sempre non si tratta per forza di novità in libreria, ma della condivisione di libri che ci sono particolarmente piaciuti o che sono particolarmente adatti al periodo.
Per esempio, nei giorni immediatamente successivi alle elezioni presidenziali americane ci sono alcuni libri che più di altri possono immergere nella cultura statunitense, mettendo anche in luce le peculiarità e le contraddizioni della nazione diffusamente considerata la maggiore potenza mondiale. È il caso della satira sull’America moderna proposta da uno dei redattori, ovvero il libro di uno scrittore che ha ipotizzato il ritorno dello schiavismo in un quartiere di Los Angeles.
Un altro giornalista parla invece di una serie di gialli inglesi scritti da un reverendo britannico, pubblicati in Italia da Einaudi e molto godibili in questo clima autunnale. E una delle giornaliste della redazione Cronaca suggerisce la lettura dell’ultimo libro di Diego De Silva, effettivamente una novità.
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«Lo schiavista»
di Paul Beatty
(traduzione di Silvia Castoldi, Fazi, 2016, pp. 370, 18,50 euro, ebook 9,99 euro)
Come può un libro essere totalmente americano nell’essenza e al contempo essere anche antiamericano fino all’estremo? Facile. Basta che una delle voci più influenti della comunità afroamericana Usa decida di scrivere una satira particolarmente feroce ed irriverente dell’attuale società statunitense.
Paul Beatty ci ha messo cinque anni per curare in ogni minino dettaglio la storia dai contorni sorprendentemente fiabeschi di un contadino di città, chiaramente afroamericano, che cerca di rivitalizzare la sua comunità reintroducendo schiavitù e segregazione. La visione finta perbenista dell’America moderna viene totalmente ribaltata in un intreccio di espedienti surreali, ma credibili. Il tutto si svolge all’interno di un quartiere di Los Angeles creato appositamente per piegarsi perfettamente alla finzione narrativa.
Il libro, che nell’edizione originale titola «The sellout» e che è stato pubblicato nel 2015, si è aggiudicato il National Book Critics Circle Award e soprattutto il Man Booker Prize. Beatty è diventato così il primo scrittore Usa della storia a vincere il premio dedicato a tutti i romanzi in lingua inglese. «Lo schiavista» è stato anche inserito nella lista dei migliori 100 libri del nuovo secolo, pubblicata in estate dal New York Times, e occupa addirittura la 17esima posizione.
Jacopo Bianchi, redattore Teletutto
«I titoli di coda di una vita insieme»
di Diego De Silva
(Einaudi, 2024, pp.248, 19 euro, ebook 9,99 euro)
Sceglie un titolo alla Cappelli, Diego De Silva, per deviare dal consueto protagonista per cui è conosciuto e amato al grande pubblico. Non c’è l’avvocato d’insuccesso Vincenzo Malinconico a colorare le pagine de «I titoli di coda di una vita insieme»(Einaudi), ma l’altrettanto ombroso Fosco Donnarumma, cui fa da contrappunto la voce della battagliera Alice Contarelli, moglie da tanto ma ancora per poco.
Nel suo ultimo romanzo l’autore napoletano confeziona un racconto a due voci, perché se l’amore – inteso come sentimento – è una cosa chi si fa in due; anche la sua antitesi è una faccenda di coppia. E in coppia Fosco e Alice scrivono le pagine che sanciranno la fine del loro matrimonio.
«L’amore non è una storia, ma due», statuisce da subito De Silva, che intorno a questo assunto alterna punti di vista e spunti dei due protagonisti. C’è tanta poesia in questo romanzo, che non mistifica la banalità di un quotidiano che logora anche i rapporti più solidi. È la poesia delle piccole cose e delle illuminazioni improvvise; è la meraviglia di una vita che è fatta di minuzie e non di cataclismi.
C’è pure molto di autobiografico, come spesso negli scritti di De Silva, che attinge all’esperienza per plasmare i suoi protagonisti. Se un appunto va fatto, è che spesso le voci di Fosco e Alice si confondono, si sovrappongono, si interscambiano. E pare di sentire sempre un po’ Malinconico, che ha la stessa voce di Fosco e anche quella di Alice. Che è poi sempre quella magnetica e ingombrante di Da Silva. L’autore pare a tratti incapace di distinguere i suoi personaggi da se stesso, i loro pensieri dai suoi. Un suo marchio di fabbrica, che appare però più evidente in questo passo a due. Che sembra a tutti gli effetti un assolo, danzato davanti a un grande specchio fumé.
Ilaria Rossi, redattrice Cronaca
«La casa del sonno»
di Jonathan Coe
(Traduzione di Domenico Scarpa, Feltrinelli, 1997, pp.320, 11 euro, ebook 6,99 euro)
Jonathan Coe, insieme a Nick Hornby e David Nicholls, è un autore contemporaneo britannico molto godibile. Ha una scrittura dritta e semplice e anche se i suoi romanzi non hanno colpi di scena e trame complicate riescono a coinvolgere e a tenere alta la voglia di aprire il libro. Per esempio: «La casa del sonno» parla di un istituto sanitario dedicato alla cura dei disturbi del sonno. Sembra una premessa piatta, ma in realtà i salti temporali e l’intreccio delle storie riescono a parlare della società inglese degli anni Novanta (è uscito nel 1997), delle relazioni amorose, della vita universitaria, di sperimentazioni scientifiche al limite dell’etica, di politica e di umanità in generale.
A rendere ancora più piacevole la lettura è l’ambientazione. Ashdown, la casa del sonno del titolo, è una sorta di condominio letterario nel quale avvengono gli incontri, ad anni di distanza e in situazioni diverse. Ma è una antica dimora gotica e si trova su una scogliera che guarda la costa inglese.
Sara Polotti, redattrice Web
«La fine dei fagioli»
di Angelo Petrella
(Italo Svevo, 2024, pp.176m 16 euro)
Partiamo dalla fine. Quella dei fagioli, nella fattispecie. Terminati i quali, secondo un adagio d'Oltralpe, non resta che la fame. E in metafora, quindi, il disastro definitivo.
Proprio ad esso, almeno in apparenza, sembra convergere ogni giornata dell'autore che di sé ripercorre gli anni giovanili in una inclassificabile autobiografia ironica con incursioni nel grottesco. Un racconto di formazione filtrato dall’antitesi più pura della cazzimma napoletana (quella scaltrezza da vicoli partenopei che consente di accedere al baccellierato della strada) ben mixata ad un senso del paradossale e all’enciclopedica conoscenza degli autori francesi di Petrella, scrittore, giornalista ma pure sceneggiatore, tra gli altri, di «Marefuori» e «I bastardi di Pizzofalcone»).
Già, perché ciascuna delle avventure – o sventure – narrate, vuoi sullo sfondo di Posillipo o vuoi sulle rive della Senna, ha come contraltare le parole in opera di uno dei dieci titani della letteratura francese che – parole dell’autore – gli hanno rovinato la vita.
Che si tratti dell'iniziazione sessuale da parte di una ragazza manesca e non proprio raffinata o delle peripezie marinaresche e/o politiche paterne, della formazione scacchistica impartita da un autodidatta da riformatorio o dell’amore per l’inarrivabile Carmela (inarrivabile solo per l’autore-protagonista, s’intenda), c'è sempre una pagina, un verso, una lectio transalpina che ne consente un’interpretazione più profonda e autentica. Si va da Rabelais a Baudelaire, da Balzac a Izzo, da Rimbaud a Stendhal, con il (tragi)comico che si mescola al poetico e il registro colto dell'analisi delle opere incontrate dal giovane ma vorace lettore – cui il mondo si disvela come un frullatore non disinnescabile – che si alterna al vernacolo partenopeo più verace.
L’alto e il basso, la meraviglia e l’improbabile, lo sconforto e le epifanie catartiche. Tutto proprio come nella vita, ma con una leggerezza che strappa il sorriso. E a proposito di strappare, dovrete provvedere al taglio delle pagine, proposte intonse dall’editrice Italo Svevo, a conferire uno spessore letterario e d’antan al volumetto. E a ricordare al lettore la fatica di vivere. Con o senza fagioli.
Gianluca Gallinari, caporedattore
«Lo spirito bambino»
di Banana Yoshimoto
(Traduzione di Gala Maria Follaco, Feltrinelli, pp. 128, 14 euro, ebook 8,99 euro)
Mimi e la ragazza veggente della Casa dell’arcobaleno.
Mimi e la misteriosa Misuzu.
Mimi e il guardiano che tiene il tempio come un giardino.
Mimi e la madre risanata.
Mimi e la sorella gemella tanto diversa da lei.
In «Lo spirito bambino» di Banana Yoshimoto (seguito di «Le strane storie di Fukiage» e «Ciotole di riso») le cose accadono attraverso i dialoghi. Il rapporto a tu per tu tra la narratrice Mimi e i personaggi creano le scene della storia e insieme esprimono quel che Yoshimoto esplicita a pagina 79 della recentissima edizione italiana: «È stupendo poter condividere uno spazio con qualcun altro, fare due chiacchiere senza stare necessariamente appiccicati, senza abbracciarsi né dichiararsi amore reciproco, solo sfiorarsi di tanto in tanto mentre si mangia o si beve qualcosa. Saldi al proprio posto nel presente».
E non cambia se le «quattro chiacchiere» riguardano la vita e la morte, il rapporto con gli altri esseri umani viventi e con creature di diversa natura, la famiglia e l’amicizia, la sofferenza psichica e la maternità, i fiori e la cucina… Molti dei temi che Banana frequenta fin dal suo sorprendente, commovente esordio – «Kitchen» – del 1988 (la cui prima traduzione mondiale è stata quella italiana nel 1991). È quell’essere «saldi al proprio posto nel presente» a fare la differenza. Perché è la condizione che consente di cogliere «sfumature meravigliose» ma anche di raggiungere «una dimensione nel profondo di ciascuno di noi dove ogni incontro è possibile».
Ancora una volta Yoshimoto parla con linguaggio semplice, apparentemente ingenuo, di questioni cruciali, soffermandosi qui anche su un tema oscuro, doloroso e purtroppo attuale che è il cuore del romanzo.
Francesca Sandrini, vicecaposervizio Cronaca
«Delitto all’ora del vespro»
di Rev. Richard Coles
(Traduzione di Letizia Sacchini, Einaudi, 2023, pp. 320, euro 18)
Sarà che abbiamo visto tutte le stagioni di Downton Abbey, e i due film ovviamente. Sarà che il mondo raccontato (e mirabilmente sbeffeggiato) da quel genio che è stato P.G. Wodehouse resta un porto sicuro nel quale approdare ogni volta che le insidie quotidiane rischiano di incupirci oltre il dovuto. Sarà per una innata passione per il velluto a coste.
Sarà per mille altri motivi, ma la lettura di «Delitto all’ora del vespro» del reverendo Richard Coles è un toccasana per l’anima come una corroborante tazza di tè alle cinque del pomeriggio. La parrocchia di St Mary, retta dal canonico Daniele Clement, è elegantemente immersa nella campagna inglese. Tra le vie della comunità di Champton si aggirano i tipici personaggi da vita di paese, tra i quali primeggiano vecchiette scorbutiche. Che diventano inviperite quando il parroco annuncia dal pulpito la volontà di realizzare un nuovo bagno per la chiesa. Apriti cielo. E per non farsi mancare nulla ecco il ritrovamento di un cadavere, proprio in quella chiesa.
C’è un collegamento? Non vogliamo certo spoilerare nulla, come si dice oggi. Anche perché delle indagini se ne occupa proprio il canonico. Protagonista anche di «Omicidio in parrocchia». Perché a Champton (come nelle parrocchie amministrate dal don Matteo televisivo) c’è un morto a settimana, ma la vita scorre comunque serena.
Francesco Alberti, redazione Cronaca
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