Libri consigliati dalla redazione del GdB per settembre
Settembre a Brescia è il mese in cui i libri tornano in piazza. Dal 28 al 6 ottobre torna infatti Librixia, la rassegna con 185 appuntamenti disseminati per il centro città con il cuore in piazza Vittoria. È un’occasione, certo, per ascoltare autori e autrici parlare di romanzi e saggi, ma è anche un bel momento per rendere fisicamente fiabe e storie il nucleo della nostra cittadina.
Nel frattempo, ecco alcuni libri letti e consigliati dai giornalisti del Giornale di Brescia. Qui trovate le recensioni di agosto.
«Felici i felici»
di Yasmina Reza
(traduzione di Maurizia Balmelli, Adelphi, 2013, pp. 163, euro 18)
Scriveva Jorge Luis Borges: «Felices los amados y los amantes y los que pueden prescindir del amor. Felices los felices», «Felici gli amati e gli amanti e coloro che possono fare a meno dell’amore. Felici i felici». Yasmina Reza scelse questi versi dello scrittore argentino come esergo (e in parte titolo) del suo romanzo, e soprattutto come chiave per interpretarne il fitto intreccio di vite e storie che lo compongono. Vicende di amanti, matrimoni sfiniti, amori non corrisposti, tradimenti, solitudini, illusioni spezzate e deliri – tutte disseminate in esistenze che apparentemente non hanno nulla a che fare l’una con l’altra ma che in realtà sono legate da fili sottili, sofisticamente intessuti dalla drammaturga francese. Così il giornalista frustrato ritorna, in qualche modo, nell’attrice delusa da relazioni tossiche e crudeli, il ragazzo che crede di essere Céline Dion e i vecchi abitati dalla morte hanno comunque qualcosa di simile da dire, nel palesare la costante difficoltà dell’incontro con l’altro. E cioè che la felicità è un talento, e può scorrere tra destini completamente diversi, a volte lievi, a volte pesanti come catene.
(Laura Fasani, redazione Web)
«Le Case del malcontento»
di Sasha Naspini
(Edizioni e/o, 2018, pp. 464, 18,50 euro, ebook 7,99 euro)
Immaginate una Spoon River in prosa, intinta nella ribollita, con una folla di toscanacci (tutti vivi o presunti tali) che si raccontano e vi spalancano le più recondite vicissitudini di un piccolo borgo arrampicato sulle creste di Maremma. Prendete in prestito un po’ di Alveare (intesa l'osteria di Doña Rosa, tratteggiata dalla penna di José Camilo Cela), con il suo andirivieni di comprimari. Aggiungeteci sagacia nostrana, humor nero e claustrofobia a ceste. Avrete un assaggio di «Le Case del Malcontento» di Sasha Naspini. Attraverso le loro stesse voci, gli abitanti del paesino (ispirato a quello di Roccatederighi, nel Grossetano, in cui affondano le radici dell'autore medesimo) ci portano nelle loro case, nelle loro vite piane solo all'apparenza, in realtà contorte nel groviglio che annoda sogni e insoddisfazioni, delusioni e invidie, bassezze e ambizioni, amori e tradimenti, solitudini e asprezze.
Naspini – ora in libreria oltre che con una riedizione di questo romanzo, anche con il nuovo «Bocca di strega», pure per le Edizioni e/o – apparecchia un'umanità dolente (come si intuisce fin dal titolo), una folla di baristi a fine corsa e nani muti, tabaccai riluttanti e giocatori di scacchi perduti, femmine che furono fatali e bottegai infatuati. Anime avvizzite di ogni sorta, tutte lì a custodire segreti, tali da imprimere alle vicende narrate le pieghe più improbabili, fino alle soglie del surreale, in un caleidoscopio di disvelamenti continui che tengono il lettore incollato alle pagine. Verità presunte e finzioni magistrali, malizie malcelate e vendette insospettabili, silenzi e sotterfugi sovvertono l’apparente quiete da provincia, attraverso la prospettiva incrociata di storie che si offrono al lettore scisse l’una dall’altra, per tramutarsi via via sotto i suoi occhi in fili di un'unica straordinaria trama.
Il burattinaio giostra ogni dettaglio con magia e sapienza e con una lingua affilata e precisa nei suoi toscanismi impietosi e scattanti (che vi sorprenderete a ripetere senza accorgervi mentre varcate la soglia di una bottega o del bar di paese), pur capace di piegarsi alla lirica del traboccante malcontento, della rabbia per una condanna a morte che pare incombere su ciascuno quando già non eseguita. Il microcosmo sospeso sulle creste di tanta Toscana si avvita alle tante attorno alla vicenda di un unico intruso, reo di un ritorno al borgo da cui tutti sognano di fuggire, restandone pur tuttavia invischiati senza appello. E reo forse di amare, cosa che, tra miserie e disperazione atavica, pare un lusso nient’affatto scontato. Perché Le Case (e poi, solo Le Case?) «è così: ti mette al mondo e poi ti stermina».
(Gianluca Gallinari, caporedattore)
«La neve in fondo al mare»
di Matteo Bussola
(Einaudi Stile Libero, 2024, pp. 192, euro 17)
Un padre ed un figlio in un reparto di neuropsichiatria infantile, dove adolescenti fragili e genitori sconvolti condividono il medesimo senso di smarrimento. Perché dietro a ragazzi che smettono di nutrirsi, che si infliggono tagli e torture, in preda a raptus violenti che non risparmiano nessuno o a malesseri così profondi da indurli persino a tentare di togliersi la vita, ci sono genitori che cercano disperatamente di trovare il senso di tanto dolore.
Con delicatezza, Matteo Bussola ci accompagna nelle stanze di Tommy, Eva, Nicholas per raccontare le ferite di una pandemia che ha infierito proprio sui più giovani e che ha trovato una generazione di genitori impreparata a gestirne le conseguenze psico-fisiche.
Senza la pretesa di comprendere, tanto meno di giudicare, l’autore scava nei tormenti di mamme e papà che si sentono soli e impotenti accanto a quei figli che hanno cresciuto e credevano di conoscere meglio di chiunque altro, ma che ora, in un letto di ospedale, sembrano improvvisamente degli sconosciuti. Gli stessi bambini e ragazzi che hanno tradito nel momento in cui hanno iniziato a riporre su di loro sogni e aspettative che hanno finito per imbrigliarli.
«- Scoprire la profondità della tristezza di un figlio, a neanche sedici anni, è come trovare qualcosa in un posto in cui non te lo saresti mai aspettato. In cui proprio non dovrebbe esserci.
- Che vuoi dire?
- Tipo, non so. Come trovare la neve in fondo al mare».
Una storia toccante e straziante, che ci ricorda come ogni essere umano sia un mistero, anche per chi lo ha messo al mondo. E come l’amore di un papà o di una mamma possa superare qualsiasi distanza, fisica ed emotiva, e reggere qualunque prova. «La verità è che, spesso, non possiamo fare niente. Che in certi giorni l’amore può significare solo stare lì, a prendersi in faccia il vento, la pioggia, la siccità e le tempeste, pure quando sentiremmo di non meritarcele. Soprattutto allora». Da leggere. E rileggere.
(Clara Piantoni, redazione Teletutto)
«Patria»
di Fernando Aramburu
(traduzione di Bruno Arpaia, Guanda, 2017, pp. 704, 22 euro, ebook 10,99 euro)
Ci sono libri che inducono a viaggiare e viaggi che inducono a leggere. Capita così di ritrovarsi tra le pagine di «Patria» di Fernando Aramburu sette anni dopo la sua pubblicazione in Italia (la prima edizione spagnola è del 2016).
È la storia di due famiglie tragicamente segnate dal terrorismo dell’Eta. I luoghi sono quelli di Spagna e Francia a cavallo dei Pirenei (l’Heuskal Herria); il tempo, quello in cui gli attentati dell’Eta ancora insanguinano la provincia spagnola dei Paesi baschi (Heuskadi). Le due famiglie, l’una formata da Bittori e Txato, l’altra da Miren e Joxian, sono unite da un’amicizia fraterna che si estende ai figli e allieta la vita di tutti; ma finisce nel peggiore dei modi. Intorno a loro, si muove e parla il piccolo paese alle porte di San Sebastian nel quale vivono e che si schiera incredibilmente dalla parte di chi giustifica (o addirittura pratica) la violenza. Aramburu è abilissimo nel riprodurne le molte voci, nel descrivere fino a renderlo palpabile il clima di oppressione e minaccia crescente nei confronti del Txato e della sua famiglia, ma soprattutto nell’esplorare e trasmettere al lettore il mondo interiore dei protagonisti, delle due coppie con i loro figli, nuclei d’un tratto nemici – ma non del tutto, lacerati come sono al loro stesso interno. Svettano nella contrapposizione le due mogli e madri, eroine inflessibili e fiere fino al confronto dell’ultima pagina, quasi una scena western da brivido di commozione.
Aramburu però si sofferma con attenzione e pietà su ognuno dei protagonisti; e ognuno dei protagonisti, di volta in volta inseguito nelle sue vicende personali, è prezioso per una narrazione che è continuo intrecciarsi di tempi diversi e differenti punti di vista, tanto vividi da scivolare spesso nella prima persona. Così, senza mettere mai in discussione il confine tra bene e male, Patria mostra sfumature psicologiche che aiutano a capire più profondamente un pezzo di storia recente e ancora bruciante.
(Francesca Sandrini, vicecaposervizio redazione Cronaca e provincia)
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