Cultura

Delitti inglesi e altri libri consigliati dalla redazione per ottobre

La Redazione Web
Ci sono una serie di gialli ambientati in Inghilterra a inizio Novecento, un romanzo su un famoso sensitivo, un saggio sull’Ungheria e un noto romanzo di Carrère parecchio assurdo, tra gli altri
Letture autunnali - © www.giornaledibrescia.it
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Un po’ come la Queen’s Reading Room di Camilla (il bookclub che la regina consorte di Charles tiene su Instagram), anche la redazione del Giornale di Brescia ha il suo club del libro. Ogni mese condividiamo con lettrici e lettori i romanzi, i saggi e in generale i libri che abbiamo letto o stiamo leggendo. Soprattutto quelli che ci hanno particolarmente coinvolto.

Non sono solo nuove uscite e anche stavolta è così: in alcuni casi si tratta di libri pubblicati già da tempo, ma particolarmente adatti alla lettura autunnale (feticcio di moltissimi lettori forti e oggetto sui social di numerosi post aesthetic).

Chi voglia condividere il suo pensiero o consiglio può scriverci sui social o all’indirizzo gdbweb@giornaledibrescia.it.

«I delitti Mitford»

di Jessica Fellowes

La copertina del primo libro della serie Mitford
La copertina del primo libro della serie Mitford

(Neri Pozza)

Rampolli di belle speranze (e meno), dimore storiche e servitù pettegola; delitti efferati e intrighi svelati. In sottofondo l’eco di guerre e spie attraverso un arco temporale esteso, dagli anni Venti a Franco, fino a ai raid su Londra della Seconda Guerra. Gli appassionati di Downton Abbey – e di britannica nobiltà per esteso – troveranno pagine per i loro denti nella serie di gialli «I delitti Mitford», a firma di Jessica Fellowes.

La scrittrice e giornalista del Sunday Mail, con all’attivo anche collaborazioni con Telegraph, Guardian e Sunday Times, è la nipote di quel Julian Fellowes – barone Fellowes di West Stafford – che è la mente geniale dietro la serie culto «Downton Abbey». Oltre ad aver incassato un Oscar nel 2002 per la sceneggiatura di Gosford Park, con l’iconica Maggie Smith (rip) come protagonista.

Tornando alla meno blasonata nipote, Jessica Fellowes è penna capace. A partire dal 2017 Neri Pozza ha pubblicato i sei romanzi gialli che la scrittrice ha dedicato alla serie «Mitford»: un libro per ognuna delle sei figlie del barone di Redesdale, ovvero Nancy, Pamela, Diana, Unity, Jessica e Deborah. Non personaggi fittizi, ma figure storiche che hanno a loro modo plasmato la società britannica del Novecento.

Cugine di Winston Churchill e protagoniste di vite straordinarie, monopolizzarono titoli di giornali e pamphlet dell’epoca, raggiungendo ognuna a modo suo fama, infamia e notorietà. Basti pensare che Diana fu amante di Oswald Mosley, il leader del partito fascista britannico, e Unity amica intima di Hitler. Debo, la più giovane, fu duchessa del Devonshire; mentre Nancy, la più vecchia, fu attivissima militante di sinistra e scrittrice di notevole fama.

Le sorelle, già protagoniste di saggi e volumi a loro dedicati, nell’universo di Jessica Fellowes sono il perno attorno a cui ruota una serie gialla che strizza l’occhio ad Agatha Christie e che fa della fedeltà storica un vanto. Sempre accurati sono i rimandi, non solo biografici, ma pure ai gossip dell’epoca, coi delitti che trovano riferimenti esatti alle cronache del tempo. L’esordio è con «L’assassinio di Florence Nightingale Shore», mentre la chiusura della serie è affidata al «Segreto dei Mitford»: una lettura davvero piacevole, seppure – va detto – non imperdibile. Per chi aspira a condire i pomeriggi autunnali con quell’atmosfera british che in questa stagione non guasta mai.

(Ilaria Rossi, redattrice Cronaca)

«L’ultimo mago»

di Francesca Diotallevi

La copertina di L'ultimo mago
La copertina di L'ultimo mago

(Neri Pozza, 2024, pp. 240, euro 18)

Uno degli «uomini prodigiosi» più conosciuti in Italia – Gustavo Rol – da qualche mese ha un romanzo a lui dedicato. Alla schiera di libri, saggi e memoir che sono stati scritti su di lui si aggiunge un libro narrativo che mischia la storia a una vicenda di fantasia, e che si basa soprattutto su ciò che di Rol hanno scritto e detto le persone che lo conoscevano o che partecipavano alle sue serate private. Si intitola «L’ultimo mago» e il titolo fa riferimento un po’ al termine dispregiativo con cui alcuni lo appellavano – provocando il suo sdegno – e un po’ alla trama che la scrittrice Francesca Diotallevi ha cucito in circa 230 pagine.

Le atmosfere sono nebbiose e fredde, un po’ come nebbiosa e fredda è l’anima del protagonista Nino, scrittore e giocatore di carte allo sbando che trova sulla sua strada quest’uomo – Rol – definito sensitivo, medium, illusionista, ingannatore, ma da tutti – sostenitori e detrattori – descritto come solare e altruista (l’ha detto la stessa autrice in un’intervista al GdB). La scrittura classica ed elegante accompagna così in una storia che è un po’ thriller vintage, un po’ vicenda umana e un po’ romanzo storico, nella quale i personaggi aggiungono umanità ai tanti racconti che di Gustavo Rol sono stati fatti nel tempo. Ciò che rimane non è tanto lo scoperchiamento dei prodigi, quanto il ritratto di un essere umano effettivamente prodigioso (se non negli atti, in ciò che era), che va di pari passo al ritratto di una società affascinata dal paranormale e dalla parapsicologia, com’era effettivamente l’Italia negli anni Settanta e Ottanta.

Le serate e le sedute di Rol meritano una menzione: Diotallevi ha basato il racconto di questi momenti che avvenivano a porte chiuse sui diari lasciati da una donna – moglie di uno dei più cari amici del sensitivo – che dopo aver partecipato a ogni incontro appuntava con minuzia ciò che vedeva accadere.

(Sara Polotti, redattrice Web)

«I baffi»

di Emmanuel Carrère

La copertina del libro di Emmanuel Carrère
La copertina del libro di Emmanuel Carrère

(traduzione di Maurizia Balmelli, Adelphi, 2020, pp. 149, euro 17)

Una piccola crepa in un muro d’ordinarietà. Un rivoletto che si trasforma in una corrente impetuosa e inarrestabile. A provocare la prima è un capriccio del protagonista: radersi i baffi, fedeli compagni da una vita, per cogliere di sorpresa la moglie. Il rivolo che vi sgorga attraverso è il processo di eventi nei quali si ritrova inghiottito una volta appurato che, agli occhi degli altri, quei baffi non sono mai esistiti. Né per la moglie, né per gli amici più cari.

Trasognato, il protagonista è vittima di un dubbio atroce: qualcuno di insospettabile sta ordendo un complotto ai suoi danni, o sta semplicemente impazzendo? Un dubbio destinato a travolgere ogni cosa: certezze, rapporti, abitudini. E oscillando costantemente tra queste due ipotesi, arriverà a compiere azioni inimmaginabili.

Carrère scava magistralmente nell’animo umano, invita con sapienza il lettore a sbirciare nell’abisso che si spalanca all’interno di questo sciagurato architetto, fino al parossismo finale. Un libro che induce a dubitare di qualsiasi cosa, persino delle convinzioni più inossidabili. Sono mai esistiti, quei baffi? E ciò che noi consideriamo reale, lo è davvero?

(Luca Chiarini, redattore Web)

«Attaccare la terra e il sole»

di Mathieu Belezi

La copertina di Attaccare la terra e il sole
La copertina di Attaccare la terra e il sole

(traduzione di Maria Baiocchi, Feltrinelli Gramma, 2024, pp. 144, euro 15,20)

Non c’è spazio per pietà, speranze, salvezza. È un racconto crudo, disperato, che non lascia scampo quello che Mathieu Belezi allestisce per «Attaccare la terra e il sole». Un romanzo che – senza fare sconto alcuno – parla della guerra coloniale che, a metà Ottocento, permise alla Francia di stabilizzare (fino a un certo punto) la propria presenza in Algeria.

Il romanzo ruota attorno a due storie che condividono solo uno scenario, l’Algeria appunto, che diventa il simbolo stesso della sofferenza: è qui che la vita di Séraphine e della sua famiglia diventa una via crucis terribilmente terrena, dove nulla può salvarsi o essere salvato. Di contro, ci sono la brutale violenza del soldato che si nutre di massacri e sopraffazione.

Chi cerca il lieto fine o non ha lo stomaco abbastanza forte, è meglio che si tenga lontano. In «Attaccare la terra e il sole» è materia incandescente, che ferisce in profondità. E non promette alcuna redenzione.

(Rosario Rampulla, vicecaporedattore)

«L’Ungheria dagli Asburgo a Viktor Orban. Il passato come prigione»

di Stefano Bottoni

La copertina del saggio di Stefano Bottoni
La copertina del saggio di Stefano Bottoni

(Scholé-Morcelliana, 2024, 365 pp. 27 euro)

Perché l’Ungheria è diventata una democrazia illiberale? E perché il suo premier, Viktor Orbán, risulta così influente e così chiacchierato pur essendo alla guida di un Paese di soli sei milioni di abitanti? Domande a cui prova a rispondere Stefano Bottoni che insegna Storia dell’Europa orientale e Storia globale all’Università di Firenze e che per Scholé-Morcelliana ha recentemente pubblicato il volume «L’Ungheria dagli Asburgo a Viktor Orbán. Il passato come prigione».

La storia dell’Ungheria è caratterizzata dal suo difficile rapporto con gli imperi, rapporti che si interrompono dopo periodi di calma apparente con fasi rivoluzionarie che hanno segnato profondamente la storia magiara. «Pensiamo al 1918, al 1944 e al 1956», sottolinea Bottoni. «In tutte queste occasioni si è assistito ad un collasso violento di un sistema dopo anni di tranquillità che non facevano presagire nessuna fase rivoluzionaria».

Ora Orbán è primo ministro ininterrottamente da 14 anni e attorno a sé ha costruito un sistema di potere che ricorda una sorta di oligarchia, contemporaneamente è stato quello che Bottoni definisce «il becchino della democrazia ungherese», facendo virare il sistema politico verso un autoritarismo molto marcato. L’autore del libro si interroga anche sul futuro eventuale passaggio di potere: «Dalle elezioni del 2018 si è capito che Orbán non cederà il potere facilmente, gli scenari potrebbero essere drammatici. Dalle Europee per altro è comparso sulla scena politica una nuova figura, Péter Magyar, che ha ottenuto un ottimo risultato alle elezioni continentali. Presto si capirà se potrà davvero essere un serio contendente al potere dell’attuale premier».

Altro tratto che emerge dal libro è il rapporto storicamente complesso dell’Ungheria con gli imperi, prima quello asburgico, poi quello sovietico ed oggi, aggiunge Bottoni, «con l’Unione europea, che non è un impero, ma è pur sempre una struttura politica sovranazionale e con cui il rapporto è stato complesso pur avendo beneficiato in 10 anni di ben 40 miliardi di euro sotto forma di fondi europei». Un rapporto reso conflittuale anche dallo stesso Orbán la cui ambizione, prosegue il professor Bottoni, è quella «di essere il guru, l’ideologo e l’ispiratore della nuova destra globale. Questo è il suo sogno e per questo potrebbe essere tacciato di megalomania, però il fatto che i principali think tank americani repubblicani ormai abbiano basi a Budapest deve far riflettere, anche perché sono finanziati dagli stessi ungheresi». Un leader illiberale che porta l’Ungheria all’attenzione del mondo e che la fa risaltare sulle carte geografiche come mai prima d’ora.

(Carlo Muzzi, caporedattore)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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