Cultura

Cinque libri consigliati dalla redazione del GdB per agosto

La Redazione Web
Si parte da «Locus Desperatus» di Michele Mari per arrivare a «Le lupe» di Pierre Boileau e Thomas Narcejac. Ma ci sono anche un Premio Pulitzer per la narrativa, un giallo d’autore e un romanzo di formazione italiano. Ecco i nostri suggerimenti per questo mese
Letture estive in spiaggia
Letture estive in spiaggia
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Ebbene, è di nuovo agosto. Le attività redazionali proseguono con il consueto ritmo incalzante e per i giornalisti e le giornaliste che lavorano in via Solferino ricavare del tempo per scrivere qualcosa che non sia impellente è piuttosto un’impresa. 

A chi c’è riuscito va il merito di aver tenuta viva questa rubrica senza pretese nel suo secondo anno di vita. Proseguiamo con lo spirito con cui abbiamo iniziato, cioè quello di condividere le nostre letture, quelle che ci sono piaciute molto ma anche poco. 

Chi vuole può scriverci sui social o all’indirizzo gdbweb@giornaledibrescia.it. Qui trovate una selezione di recensioni di libri letti ad agosto, se non vi basta trovate quella (molto nutrita!) dello scorso compleanno.

«Locus desperatus»

di Michele Mari

La copertina di Locus Desperatus
La copertina di Locus Desperatus

(Einaudi, 2024, pp. 136, 18 euro, e-book 9,99 euro)

Inquietante e divertente, spietato e ironico: è Locus desperatus, l’ultimo romanzo di Michele Mari.

«Locus desperatus» è in filologia un passo del testo di fronte a cui lo studioso deve arrendersi, contrassegnandolo con la cosiddetta «croce della disperazione». Il romanzo di Mari comincia con delle croci: il protagonista ne vede tracciate a gesso sulla porta di casa e presto scoprirà che se ne deve andare, sta per essere sfrattato dalla sua tana-museo - zeppa di oggetti mai casuali e collezioni adorate e un tesoro di libri -, mentre intorno a lui si manifestano strani personaggi e ultracorpi.

C’è di che appassionarsi, e infatti viene voglia di leggere di corsa fino all’ultima pagina per sapere «come va a finire» la dispersione del prezioso patrimonio-prolungamento del protagonista, ma non si può rinunciare a rallentare o addirittura fermarsi per gustare passi, espressioni, singole parole di un testo che è un distillato dal linguaggio preciso e funambolico, ricco di rimandi (non necessariamente “alti”) e suggestioni. Di più, Locus desperatus non è «solo» una storia originale e scritta magnificamente: è una riflessione sul rapporto tra l’individuo e le cose che gli appartengono, sull’identità, sul doppio, sulle relazioni.

Una citazione su tutte: «Io avevo dato senso e vita alle cose, scegliendole, collezionandole, amandole, considerandole parte di me, immettendomi la mia energia, e loro mi avevano sempre restituito tutto contribuendo alla mia identità e alla mia biografia, modulando i miei pensieri e i miei sogni…».

(Francesca Sandrini, vicecaposervizio redazione Cronaca)

«Demon Copperhead»

di Barbara Kingsolver

La copertina di Demon Copperhead
La copertina di Demon Copperhead

(traduzione di Laura Prandino, Neri Pozza, 2023, pp. 656, euro 22, e-book 9,99 euro)

Ha i capelli rossi, un nome demoniaco che in inglese ricalca quello del serpente testa di rame (oltre che quello di uno dei protagonisti della storia della letteratura, David Copperfield) ed è uno di quei bambini – e poi ragazzini – che fanno dentro e fuori dal sistema di foster-care che in America un po’ di danni continua a fare. Demon Copperhead – protagonista dell’omonimo romanzo – si è guadagnato lo scorso anno il Premio Pulitzer per la narrativa e il Women’s Prize of Fiction e leggendo l’incipit si capisce già di essere di fronte a uno di quei libri che, gusti a parte, vanno letti.

Perché «Demon Copperhead» (Neri Pozza) è un romanzo di formazione, ma anche di denuncia. Questo bel mattoncino di circa 700 pagine riesce a narrare la storia semplice e quotidiana di un adolescente nato nella miseria e buttato qua e là dal sistema di affidi, ma anche a scoperchiare una delle epidemie più devastanti dei primi anni Duemila: quella della dipendenza da oppiacei, e in particolare da Oxycontin, pillola venduta come miracolosa dalla Purdue Pharma. Prometteva di non dare dipendenza o effetti collaterali: una magica alternativa alla morfina. Si rivelò invece una delle droghe più abusate di inizio millennio.

La storia dell’ossicodone sfiora delicatamente (ma tragicamente) le vicende di Demon, che la scrittrice Barbara Kingsolver riesce a descrivere e raccontare con schiettezza costruendo un romanzo verosimile e coinvolgente, di quelli che ti fanno venire voglia di aprire il libro più volte durante la giornata. Demon è trasparente, è diretto ed è pulitissimo, nella sua vita sporca e disordinata: è la voce dei «redneck», i contadinotti (in questo caso della zona degli Appalachi) scherniti da tutti, ma non è una voce stucchevole o inutilmente lagnosa e strappalacrime. Le lacrime arrivano, ma Demon le asciuga in un attimo.

(Sara Polotti, redazione Web)

«Sulla pietra»

di Fred Vargas 

La copertina di Sulla pietra
La copertina di Sulla pietra

(traduzione di Margherita Botto e Simona Mambrini, Einaudi, 2024, pp. 472, euro 20)

È stata un’attesa lunghissima. Così lunga che anche i più affezionati fra i lettori avevano smesso di sperarci. Finché – quasi sottotraccia – il silenzio si è interrotto a giugno e, dopo ben sei anni, Fred Vargas ha regalato ai suoi lettori un nuovo giallo d’autore. O quasi. Perché l’autrice c’è, ma il protagonista meno.

Il ritorno dello «spalatore di nuvole» Adamsberg è un’elegia scritta «Sulla pietra» – questo il titolo del romanzo edito in Italia da Einaudi – in quattrocentosettanta pagine. Un’elegia funebre, però. Perché il brillante, svagato, poetico e sognatore Jean-Baptiste, investigatore capo del XIII Arrondissement di Parigi e protagonista di indiscussi noir-capolavoro, pare l’ombra di se stesso. Inviato in Normandia per risolvere un omicidio misterioso, il primo di una serie, si ritrova invischiato in superstizioni e folklori nel villaggetto di Louviec, fra fantasmi, pulci, rapimenti, pozioni e la provvidenziale quanto posticcia presenza di un menhir.

Gli elementi cardine dell’immaginario di Vargas ci sono tutti (gli insetti, il soprannaturale, l’arcaico), ma è la sostanza a mancare. Pare che la stessa scrittrice, impegnata di recente sul fronte della lotta al cambiamento climatico, si sia persa per strada negli anni e abbia faticato a recuperare le fila dei suoi personaggi e dei suoi temi. Il grande assente, «dimenticato» inspiegabilmente a Parigi, è Adrien Danglard, vice di Adamsberg e sua perfetta controparte, in grado di bilanciare con la razionalità e l’erudizione le divagazioni del commissario. Le opere corali del passato lasciano spazio a una descrizione quasi macchiettistica di altre figure chiave, come l’inarrivabile e granitica Violette Retancourt. Spariscono Camille, Zek e anche il vicino Lucio viene circoscritto a poco più che una citazione.

Resta Adamsberg, con le sue stranezze e quel suo geniale vagolare, ma in realtà non c’è più. E anche la lingua arranca, come trascinandosi con stanchezza e inciampando nelle metafore, senza utilizzarle come trampolino come accadeva in opere passate. C’è quella che pare, di fondo, una fatica. O un disamore. La sensazione è che Fred Vargas, che ha reso il suo commissario protagonista di storie indimenticabili, si sia semplicemente annoiata. A che pro quindi, viene da chiedersi, riesumare Adamsberg, solo per affossarlo. Sarà scritto «Sulla pietra», ma non era mica scolpito che dovesse fare ritorno.

(Ilaria Rossi, redazione Cronaca)

«Il mare dove non si tocca»

di Fabio Genovesi

La copertina di Il mare dove non si tocca
La copertina di Il mare dove non si tocca

(Mondadori, 2017, pp. 318, euro 14 – ebook euro 7,99) 

Un libro estivo. Definirei così «Il mare dove non si tocca» di Fabio Genovesi. E non perché il riferimento a un tuffo tra le onde è evidente nel titolo, piuttosto perché rientra perfettamente nella categoria «libri da ombrellone».

318 pagine che scorrono via leggere e raccontano la formazione (autobiografica) di Fabio, un bambino della Versilia che cresce negli anni Ottanta con una decina di nonni – in realtà sono i fratelli del vero nonno materno, già morto quando la storia inizia – in grado di metterlo costantemente in imbarazzo grazie a comportamenti molto lontani da quelli fanciulleschi che dovrebbero caratterizzarlo. 

Nel suo percorso dai 6 ai 13 anni Fabio passerà dalle elementari alle medie, conoscerà altri bambini – impegnati in attività a lui sconosciute, come moscacieca, rubabandiera e nascondino –e imparerà a districarsi nel percorso della vita. Una ragazzina vestita da coccinella, una madre intenzionata a proteggerlo a tutti i costi e una nonna che è in grado di comandare su tutti, sono alcuni degli ingredienti della storia, che si mischiano a una maledizione e a un padre saggio e silenzioso, in grado però di dargli una lezione fondamentale, quando a largo nel mare, gli insegna a nuotare: «Perché il pesce tuo non te lo prende nessuno. Nuota strano, nuota a caso, ma eccolo che arriva da te». 

Dal «Villaggio Mancini» alla vita «vera». Fabio affronta drammi e momenti felici, come un qualsiasi bambino che sta crescendo. Lo fa, però, intrecciando tra loro modi diversi di leggere la vita. In un’età complicata scopre emozioni che non pensava esistessero e si forma attraverso i comportamenti di chi gli sta a fianco.

Un’amica l’ha trovato su una bancarella e me l’ha consigliato, faccio lo stesso con i lettori della rubrica, soprattutto se amano l’estate, perché – sentenzia Fabio – «Ognuno ha i suoi gusti, ma la stagione più bella è l’estate e su questo non ci sono discorsi»

(Stefano Zanotti, redazione Web)

«Le lupe»

di Pierre Boileau, Thomas Narcejac

La copertina di «Le lupe»
La copertina di «Le lupe»

(Adelphi, 2024, pp. 179, euro 18 – ebook 10,99) 

Se uno dei vostri timori più ricorrenti, specie nei mesi afosi di quest'estate 2024, è quello di restare intrappolati in un ascensore guasto, non leggete «Le Lupe» di Pierre Boileau e Thomas Narcejac. Un romanzo che a 70 anni dalla sua apparizione in Francia, non ha perso nulla della forza con cui la trama è in grado di avvolgere e quindi stritolare ogni certezza del lettore. Non stupisce quindi che Adelphi abbia deciso di pubblicare proprio ora, e per la prima volta, la versione italiana di questo gioiellino, opera di due titani del noir francese. Due che, oltre ad aver iniziato al giallo la generazione di lettori adolescenti nei primi anni Novanta grazie alla felice riproposizione da parte di Mondadori – a distanza di 30 anni dalla prima pubblicazione – dei gialli per ragazzi della serie Sans Atout (ho un debito personale nei loro confronti, lo ammetto), sono stati capaci di stregare anche un maestro del brivido come Alfred Hitchcock, al quale regalarono niente meno che Vertigo (La donna che visse due volte).

Ma tornando a Le Lupe, la trama è un piccolo capolavoro di colpi di scena. Ambientato nella Francia occupata della Seconda guerra mondiale, racconta le vicessitudini del povero Gervais, evaso da uno Stalag nazista assieme al commilitone Bernard, che muore tragicamente al loro arrivo a Lione. Non un caso che i due fossero diretti proprio nella città francese: lì viveva la «madrina di guerra» con cui Bernard aveva intrapreso una fitta corrispondenza nei mesi della prigionia, disposta ora a nascondere i due fuggiaschi. Stretto dalla necessità, Gervais decide di sostituirsi a Bernard, assumendone l'identità e andando così a vivere nell'appartamento di Hélène, la madrina, approfittando del fatto che la donna non conosceva il volto di Bernard. Solo giunto nell’appartamento claustrofobico, quasi una scatola scenografica teatrale, in cui si svolge gran parte del romanzo, il protagonista scoprirà che la solerte corrispondente convive con la enigmatica e intrigante sorella Agnès.

Se Bernard-Gervais si illudeva di sfruttare a proprio beneficio la apparente generosità delle due donne, finisce invece col ritrovarsi in una trappola le cui sbarre sono costituite da sottili intrecci psicologici tracciati con inchiostro magico dalla coppia di diabolici autori francesi. L’arrivo a sorpresa della sorella di Bernard, Julia, rischia di smascherare l’impostore, ma finisce col tramutarsi nell’innesto a trama aperta di una terza lupa nel già complicato quotidiano dell’ex prigioniero. Che tanto ex non pare affatto. Fino all'ultima pagina, il romanzo regala giochi pirotecnici, pathos e sorprese al lettore a cui non mancherà, dessert al termine di un pranzo generosissimo, il piacere terribile di un inatteso epilogo.

(Gianluca Gallinari, caporedattore)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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