Le metamorfosi di Francesco Vezzoli
Ora che abbiamo saputo che Francesco Vezzoli sta preparando una trasmissione per la Rai, già sogniamo il salto successivo: la conduzione patinata e melò del Festival di Sanremo, in un Ariston trasfigurato in chiave neoclassica e Iva Zanicchi che conduce l’orchestra al posto di Peppe Vessicchio. «Va bene, purché ci sia Leonardo DiCaprio come valletto», scherza Vezzoli, ma nemmeno troppo. Per ora non può dirci di più sul progetto, ma già l’anticipazione basta per delineare la nuova metamorfosi dell’artista bresciano, che negli ultimi anni ha lavorato anche come curatore e che adesso si sta calando nel piccolo schermo.
Intanto, per recuperare le puntate di una carriera ultraventennale, potete accomodarvi sulle poltrone del cinema Nuovo Eden, dove mercoledì 23 alle 21 verrà proiettato il film «Ossessione Vezzoli», ritratto pop realizzato nel 2016 da Alessandra Galletta e ora proposto nella sezione «Altre visioni». Con questo film, di fatto, l’artista si è lasciato alle spalle un capitolo del suo percorso.
«Non è stata una cosa premeditata - spiega -, ma quando rivedo ciò che ho fatto mi viene da dire "che noia, che barba". Lo dico proprio dal punto di vista personale. Ben vengano le cose che ti fanno fare il punto della situazione, soprattutto se ti spingono a cambiare».
Vezzoli si è lasciato raccontare - «Ho vissuto il lavoro in maniera molto passiva» - senza interferire nel lavoro della regista, senza cercare di influenzarla: «Mi piace pensare che abbia voluto esprimere la sua visione di me». Oltre a «Ossessione», a posteriori uno osserva che gli altri momenti decisivi nel cambiamento nella ricerca di Vezzoli sono stati l’operazione «The Trinity», grande mostra antologica del 2013/2014 divisa tra Roma, New York e Los Angeles, e «Tv 70: Francesco Vezzoli guarda la Rai», magnifico allestimento nella Fondazione Prada, a Milano, in cui il Nostro ha rielaborato le Teche Rai attraversando la storia d’Italia tra costume, politica, cronaca, svago, mutamenti sociali: una mostra capace di mettere assieme Amanda Lear e la Strage di piazza Loggia senza stridori. Da un lato, nella Trinità internazionale, la riflessione ambiziosa sul proprio lavoro, un affresco smisurato e personale; dall’altro un ritratto di cosa siamo stati e cosa siamo diventati attraverso la televisione pubblica, vera e imperfetta mamma in anni vitali, violenti, ricchi e tribolati.
«Voglio che anche le mie mostre siano opere d’arte», dice, e uno già s’immagina l’ego infinito. Ma Vezzoli chiarisce: «Non fraintendetemi: non voglio sostenere che siano così belle da essere opere d’arte, ma dico che ho una visione allargata del materiale con cui lavoro. Sono sperimentazioni». Strategie, per uscire dagli schemi già battuti: «Diciamo che il mercato è talmente... (riflette bene sul termine, ndr) teso che sperimentare nel fare opere d’arte è diventato complesso. È più divertente, insomma, lavorare come curatore». L’intervento di Vezzoli diventa dunque simile a quello di un regista che gioca con i diversi elementi a disposizione, o di un ricercatore che toglie dall’oblio o rilegge autori del passato.
Tra i prossimi progetti c’è la mostra organizzata ai primi di maggio a New York dedicata a Varvara Stepanova, il cui talento è stato ingiustamente dimenticato; oppure quella al Pecci di Prato, sempre in maggio, sul rapporto tra Fabio Mauri e Pier Paolo Pasolini. Ritroveremo il Vezzoli artista alla Fondazione Giuliani di Roma, a metà aprile, mentre in marzo sarà nella doppia veste di autore e curatore alla Fondazione Lambert di Avignone, dove le sue sculture dialogheranno con quelle di Cy Twombly, Giulio Paolini e Louise Lawler. Come agenda per i prossimi mesi può bastare, no? Intanto, c’è il programma con la Rai da portare avanti, di cui attendiamo a questo punto più dettagli, anche se il lavoro alla Fondazione Prada può dare indizi. Il bello è che tutto ciò Vezzoli lo fa tenendosi lontano dall’incubo e delizia di noi comuni mortali: i social. Non ha bisogno di autopromozione, visto lo status. Ma c’è anche una scelta ontologica: «Io sono invisibile».
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