Cultura

L'arte pubblica del bresciano Massimo Uberti omaggia Dante

L’artista esponente della public art ha lavorato a Verona con neon e laser e a fine settembre terrà un intervento a Matera
Scrivere con la luce: l’artista bresciano Massimo Uberti - Foto © www.giornaledibrescia.it
Scrivere con la luce: l’artista bresciano Massimo Uberti - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Le sue opere in questo momento punteggiano Liguria, Toscana, Lombardia e Veneto. Non su pareti private e inaccessibili bensì in luoghi pubblici e «passeggiabili», godibili e condivisibili. Perché l’arte pubblica è questo: una forma artistica che si intrufola nel tessuto urbano e sociale, fruibile da tutti e per tutti.

Massimo Uberti, bresciano, è tra gli esponenti di questa forma creativa, ch’egli interpreta scrivendo con la luce. Il suo intervento più importante, in questo momento, si trova a Verona: qui Uberti ha realizzato, tra Porta Fura e il Ponte Rinascimento, due opere pubbliche dedicate a Dante, visibili fino al 30 ottobre in occasione del Mura Festival.

Com’è nata questa esperienza?
Un anno fa sono stato contattato dal responsabile Unesco di Verona, Ettore Napione, su indicazione di Francesca Toffali, assessora al Turismo e ai Rapporti Unesco del Comune di Verona. Volevano per le mura della città patrimonio Unesco un intervento che riguardasse Dante, nell’anno celebrativo. Verona è tra le tre città dantesche insieme a Firenze e Ravenna. Dopo i sopralluoghi - e dopo aver analizzato la lettura che nella Divina Commedia Dante fa di Cangrande della Scala, signore illuminato che rese importante la città - ho deciso di concentrarmi sulle terzine finali, in cui si indica il futuro di Verona. Dante dice «Parran faville»: questa è la scritta che dalla città si legge sul Lungo Adige, realizzata con neon soffiati a mano, in maniera artigianale. Con l’augurio che le faville, o idee, possano essere coltivate e diventare cose straordinarie.

Le «faville» a cui si riferisce sono di stampo umanista?
Sì, perché c’è assolutamente bisogno di umanesimo. Per quanto scienza e tecnicismi servano, il mio augurio riguarda proprio il lato umanistico.

Oltre a «Parran Faville» c’è anche il laser di Porta Fura, «Da Sponda a Sponda»...
Sì, e questa seconda opera ha anche un intento di rigenerazione urbana. Porta Fura è un luogo magico, ma abbandonato e dimenticato. Fino ad ottobre lo spazio si animerà dal tramonto all’alba, con passeggiate e visite. Nello specifico, il laser proiettato attraversa la torre medievale al centro dell’Adige, collegandosi all’altra sponda. Taglia il fiume proprio come faceva anticamente il Ponte Catena, con due corde che gestivano i flussi di merci e persone. Nel mio intervento ho ripristinato la soglia tra il dentro e il fuori la città, con l’intento di unire le due sponde, vecchia e nuova, passato e presente, per proiettarle nel futuro.

La sua è arte pubblica classicamente intesa: dagli anni Settanta ad oggi com’è cambiata la scena?
In Italia la public art sta finalmente tornando ad essere protagonista, nel bene e nel male. Anche il lockdown l’ha rilanciata parecchio. Ne sono contento ed è una tendenza positiva, ma alcuni interventi li trovo fuori scala. Io, quando lavoro, cerco sempre di capire dove mi trovo e che storia ci sia nel luogo in cui intervengo, inserendo qualcosa senza snaturare, ma aggiungendo un elemento di novità che colleghi ciò che è con ciò che potrebbe essere. A tal proposito sono stato invitato a Matera: a fine settembre terrò un intervento sull’arte pubblica. A conferma che il tema è sul tavolo.

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