Cultura

La luce dietro le quinte: la storia di Peter, 43 anni al Teatro Grande

Lauro Damiani, questo il suo vero nome, racconta i segreti tecnici e d'illuminazione che stanno dietro ogni spettacolo
  • Lauro Damiani, detto Peter, ha lavorato per 43 anni al Teatro Grande
    Lauro Damiani, detto Peter, ha lavorato per 43 anni al Teatro Grande
  • Lauro Damiani, detto Peter, ha lavorato per 43 anni al Teatro Grande
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  • Lauro Damiani, detto Peter, ha lavorato per 43 anni al Teatro Grande
    Lauro Damiani, detto Peter, ha lavorato per 43 anni al Teatro Grande
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Se il sipario si apre è perché tutti i problemi sono stati risolti. E anche se dovessero esserci piccoli intoppi, dietro le quinte il formicaio dei tecnici sempre al lavoro è operoso, attento e sempre pronto. Lauro Damiani, per gli amici Peter, è una di queste formichine specializzate, poco conosciute, molto misteriose, e che tuttavia fanno andare avanti la macchina del teatro senza intoppi. Quella del Teatro Grande, in particolare, che dallo scorso febbraio deve fare a meno proprio del suo più longevo tecnico elettricista.

Dopo più di 43 anni è arrivata la pensione anche per Peter: «Tornassi indietro non cambierei mai questa professione per un’altra» sorride. «L’ambiente è stimolante, si lavora tutti per un obiettivo e quella dei tecnici è una seconda famiglia. Ho passato la maggior parte della mia vita in teatro, è una fortuna».

La carriera

Damiani è il mago delle luci, componente fondamentale di ogni spettacolo - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
Damiani è il mago delle luci, componente fondamentale di ogni spettacolo - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it

Nato e vissuto prima a Brescia e poi a Rodengo Saiano, Peter è stato per quattro decenni tecnico delle luci e capo elettricista. «È stata una bellissima cavalcata», ci aveva raccontato all’indomani della festa organizzata da colleghe e colleghi per la sua pensione. In quell’occasione lo sorpresero sul palco del teatro, donandogli una targa per celebrare la sua passione e generosità (che lui ha ricambiato ringraziando sinceramente ogni persona, di tutti gli uffici e di tutti i reparti).

La sua è una storia semplice, genuina, cominciata quando ancora non vi erano scuole di specializzazione. «Ho imparato il lavoro sul campo dopo che l’allora capo elettricista, Rudi Cominardi, mi trascinò dietro le quinte. Non sapevo fare nulla: serviva un ragazzo in palcoscenico. Spostavo cavalletti, stendevo cavi, montavo le scene… Poi piano piano ho imparato tutto il resto. Quando lui se n’è andato ne ho preso il posto».

La sua esperienza è peraltro molto interessante anche dal punto di vista storiografico: Peter non ha solo vissuto il lavoro pratico, ma anche l’organizzazione del teatro, che negli anni Duemila è passato dalla gestione privata alla Fondazione del Teatro Grande. «Con il nuovo assetto è cambiato tutto», ricorda. «Nei primi trent’anni c’era anche la stagione di prosa. Allora non si badava agli orari, ma con l’avvento della Fondazione si è risolto tutto. Adesso si rispettano l’orario settimanale e le ore di riposo. E gli spettacoli sono aumentati. Ora c’è anche la danza contemporanea: si lavora molto sulle luci e meno sulle scene, per simulare vari momenti: tramonti, albe, boschi, sottoboschi… È davvero soddisfacente».

Viene naturale chiedersi: con Umberto Angelini, il Sovrintendente, come si lavora? «Lo trovo una persona attenta. Ho sempre avuto un buon rapporto. Quando mi ha assunto, immediatamente mi ha promosso come responsabile tecnico, un ruolo a cui però avevo rinunciato pochi anni fa per motivi personali. Volevo stare in palcoscenico, sentivo la necessità». E tra gli artisti che gli sono rimasti più nel cuore, tra quelli conosciuti mentre passavano dal palco del Grande, ce ne sono tre in particolare che non scorderà: Ennio Morricone, Fabrizio De André e Claudio Abbado, «dal carisma indimenticabile».

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