Cultura

La cinquina del Premio Strega ha fatto tappa a Salò

Per lo «Strega Tour» gli autori e le autrici finalisti del prestigioso premio sono stati ospiti in Municipio: ecco cosa hanno raccontato
Da destra: Calandrone, Canobbio, Petri, Loretta Santini per Ada D’Adamo e Petrocchi - Foto © www.giornaledibrescia.it
Da destra: Calandrone, Canobbio, Petri, Loretta Santini per Ada D’Adamo e Petrocchi - Foto © www.giornaledibrescia.it
AA

Il corpo come linguaggio di comunicazione, il diritto al divorzio, la comprensione della depressione, il sogno del volo e il legame ancestrale con la propria terra. Tre storie autobiografiche, una «non-biografia» e un romanzo di formazione per la cinquina della 77ª edizione del Premio Strega, ospitata domenica sera a Salò, nella Sala dei Provveditori in Municipio.

È stata la terza tappa dello «Strega Tour», che dopo l’annuncio dei finalisti avvenuto lo scorso 7 giugno, toccherà tutta Italia fino ai primi del prossimo mese. La sera del 6 luglio sarà infine decretato il vincitore al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma, in diretta su Rai3. Prima dell’incontro moderato da Giovanni Sciola, direttore della Fondazione Luigi Micheletti e del progetto «Essays» della Fondazione Ugo da Como di Lonato, e con Stefano Petrocchi, direttore della Fondazione Bellonci e segretario del comitato direttivo del Premio Strega, gli autori hanno concesso un colloquio in esclusiva al Giornale di Brescia.

Rosella Postorino

Assente giustificata per indisposizione, ma ugualmente raggiunta al telefono, Rosella Postorino è autrice di «Mi limitavo ad amare te», edito da Feltrinelli. Un romanzo storico, famigliare, di formazione, che racconta le sorti di tre bambini nella primavera del 1992 a Sarajevo. «Per caso – riferisce la scrittrice – ho letto un articolo su una testata online che raccontava dei bambini portati via da Sarajevo per salvarli dalle bombe. Mi ha colpito la contraddizione umana di questo fatto storico: si erano sicuramente salvati la pelle, ma avevano comunque perso tantissimo. Non solo la loro terra e la loro identità, ma anche i loro genitori, perché sono stati portati via senza preavviso».

Ada D’Adamo

A farsi portavoce di Ada D’Adamo, l’autrice di «Come d’aria» scomparsa lo scorso primo aprile, c’era Loretta Santini, direttrice editoriale di Elliot Edizioni. «Ada era una ballerina – racconta Santini – e questo libro racconta il suo rapporto con la figlia Daria, nata con una malformazione celebrale che le impedisce di camminare e di vedere. Il corpo diventa quindi la chiave di lettura del loro rapporto: alle difficoltà della figlia a comunicare con l’esterno la madre risponde sempre, cercando nuovi metodi, finché, quando ella stessa si ammala, questa malattia le permette di comprendere tutte le difficoltà che la bambina ha dovuto subire nel corso della propria vita».

Maria Grazia Calandrone

È sempre uno scritto autobiografico «Dove non mi hai portata» di Maria Grazia Calandrone (Einaudi). È la sua storia di figlia, abbandonata a otto mesi nel parco di Villa Borghese a Roma dai genitori, che poi si tolgono la vita nel Tevere, perché sua madre era stata costretta a scappare da un marito violento, in un’epoca in cui il divorzio ancora non era legge, e l’adulterio era reato. «L’ingiustizia che ha subito mia madre mi ha fatto arrabbiare – racconta l’autrice –, così come mi fa arrabbiare che ancora oggi ci siano madri, tremila l’anno, costrette ad abbandonare i propri figli».

Andrea Canobbio

Anche «La traversata notturna» di Andrea Canobbio (La nave di Teseo) racconta una vicenda personale: «Le mie sorelle mi hanno affidato delle lettere d’amore che i miei si erano scambiati tra il ’43 e il ’46 – ricorda l’autore – e la scoperta di questa felicità che hanno vissuto è stata per me molto importante, avendoli io conosciuti in una fase diversa della vita, quando mio padre si era già ammalato di depressione. La cosa che ho capito, scrivendo questo libro, è che non c’era niente da perdonare. La depressione è una malattia, mentre invece nella cultura dell’epoca era vista come una debolezza morale».

Romana Petri

Romana Petri, autrice di «Rubare la notte» edito da Mondadori, sottolinea infine come il suo libro sia una «non-biografia» di Antoine Saint-Exupéry. «È un romanzo» chiarisce Petri: «Io conosco molto bene la sua vita fin dagli studi universitari, quindi possiamo dire che l’89 per cento di quello che narro sono fatti veri; poi, però, c’è la mia interpretazione, il mio modo di farlo pensare e parlare. Tutte le lettere che scrive le ho scritte io, immaginando che avrebbe potuto scriverle in quel modo. Mi affascina un personaggio così rigoroso, amante della giustizia e creatore di un nuovo umanesimo che vede gli uomini uniti come fratelli, con questo legame tenerissimo con la madre e con questa sua incapacità di crearsi la vita che avrebbe voluto, perché lui più di tutto voleva volare».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Condividi l'articolo

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato