Cultura

La casacca di seta che soltanto Guttmann poteva indossare

Un viaggio nel calcio danubiano, nella vita dei suoi protagonisti e nella storia per il primo romanzo «da solista» di Paolo Frusca
La copertina del libro «Una casacca di seta blu» del bresciano Frusca - © www.giornaledibrescia.it
La copertina del libro «Una casacca di seta blu» del bresciano Frusca - © www.giornaledibrescia.it
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La passione per il calcio, per la storia, per la «sua» Vienna, per le vicende di quei personaggi che restano ai margini dell’immaginario collettivo pur avendo contribuito a costruirne le fondamenta. C’è questo e tanto altro in «Una casacca di seta blu» (Mondadori, 204 pagine, euro 17,50), il primo romanzo in cui il bresciano Paolo Frusca si mette in gioco da solo, senza avere accanto un compagno di scrittura. E lo fa raccontando la storia di Bela Guttmann, magiaro nel cuore, austriaco nella testa, illusionista nella vita, e allo stesso tempo cittadino del mondo, giocatore istrionico e poi allenatore capace di vincere due Coppe dei Campioni con i portoghesi del Benfica. Guttmann diventa il vertice di un triangolo alla cui base stanno Willi e Martin Kudlacek: il primo è uno dei più grandi giornalisti sportivi di inizio Novecento, il secondo un professore di storia di fine anni Settanta. Ma soprattutto, sono padre e figlio, con quest’ultimo che passo dopo passo, proprio grazie a Guttmann che di Willi Kudlacek è stato grande amico, scopre veramente chi era suo padre. Lo fa attraverso un viaggio nella Vienna di ieri e quella di oggi, la città in cui Frusca vive da anni avendo però sempre Brescia e il Brescia (è grandissimo tifoso delle rondinelle) nel cuore. E allora ci sono le piazze, i caffè, le vie, lo stadio Prater col suo splendido parco, il castello di Schönbrunn visti con gli occhi del giovane Martin ma anche con quelli del vecchio Bela. Occhi nei quali sono passate le sofferenze della guerra, come le gioie che spesso solamente il calcio (materia che Kudlacek «Junior» conosce assai poco) può regalare.

Paolo Frusca - © www.giornaledibrescia.it
Paolo Frusca - © www.giornaledibrescia.it

Ed è proprio qui, nell’abbraccio tra tabellini di partite storiche e ricordi legati all’impero, che esce tutta la bravura di Frusca nel far convivere due mondi e due generazioni apparentemente lontani, ma che pagina dopo pagina si scoprono più vicini che mai. Tra un dribbling dell’istrionico e malinconico «Cartavelina» Sindelar, simbolo del Wunderteam, squadra che fece sognare tutta l’Austria e l’emozione di una donna portoghese, tifosa del Benfica, capace di riconoscere nel vecchio Guttmann il profeta che portò il Benfica sul tetto d’Europa. Un uomo capace di battute taglienti e premonizioni, di imporre da giocatore una maglia di seta non potendo sopportare il cotone, ma anche di raccontare attraverso il viaggio nel calcio danubiano la storia di un’amicizia fraterna con Willi Kudlacek che solo la seconda Guerra Mondiale seppe incrinare.

Giusto un personaggio istrionico e capace di tutto come Guttmann poteva e doveva essere il protagonista del primo romanzo «solista» di Paolo Frusca, classe 1963, bresciano di cuore e di spirito, ma allo stesso tempo viennese per convinzione. Nel 2010 ha pubblicato per Mondadori «Urania Phoxgen!» scritto a quattro mani con Italo Bonera. Per e con Federico Buffa (e altri) ha scritto il testo teatrale «Le Olimpiadi del 1936» e con Buffa il romanzo «L’ultima estate di Berlino» che ha vinto nel 2016 il premio del Coni per la letteratura sportiva. Del 2019 è «Notturno Jugoslavo», sempre a quattro mani, con Emanuele Giulianelli.

Ora il primo volo da solo, come quello di una rondinella colorata di bianco e azzurro.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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